Prima di prendere i voti e ritirarmi dal mondo,voglio adottare a distanza un bambino

fratiVoto di povertà e di obbedienza. Ritiro dal mondo, preghiera e silenzio. Nessun giornale, né cellulare, né internet né contatti con l’esterno. E’ questa la vita che attende frate Francesco (il nome è di fantasia, perché ci ha chiesto di rispettare la sua scelta di “nascondimento” e “fraternità, nella famiglia monastica”). Ma prima di prendere i voti definitivi, ha deciso di sostenere un bambino dall’altra parte del mondo perché possa crescere, studiare, coltivare una speranza e un progetto di vita. Si è messo in contatto con Ai.Bi. e ha chiesto di scegliere per lui un piccolo davvero bisognoso a cui lasciare la disponibilità dei suoi beni. “Finché ci saranno, finché il Signore vuole”.

Poco prima che disattivi definitivamente la sua mail e il suo telefono, riusciamo a parlare con lui per farci raccontare che cosa l’ha spinto a questa decisione.

“In monastero entri nudo e senza beni, lasciandoti tutto alle spalle. Fare voto di povertà significa che, se hai la fortuna di possedere qualcosa, devi disporre di che cosa vuoi farne, decidere a chi lasciarli: a parenti, amici, enti… Dipende da te. Io ho una casa e un piccolo conto corrente. Ho chiesto al mio superiore il permesso di attivare un Rid e sostenere nel tempo un bambino. Un impegno quotidiano, anche se a distanza”.

Perché ha fatto scegliere ad Ai.Bi. l’abbinamento?

“Se dovessi decidere io chi e perché, senza affidarmi alla provvidenza e alla lungimiranza di Dio, impazzirei. Sarei dilaniato e combattuto. C’è così tanta povertà e così tante persone bisognose. Io ho solo pensato che era ingiusto che i miei beni restassero fermi. Mi sono domandato in che misura potevo fare qualcosa di utile per gli altri ed è arrivata spontanea l’intuizione di pensare ai bambini. Uno solo di questi piccoli, dice Gesù”

Riuscirà a tenersi in contatto con il “suo” bambino?

“Quando arriveranno sue notizie dal Paese, il superiore valuterà se farmele avere. Ma quel bambino è già parte della nostra famiglia. Io pregherò per lui ogni giorno. Sarà una presenza costante nella mia vita e lo stesso sarà da parte di tutti i confratelli. La preghiera supera tutte le barriere, nella preghiera c’è un incontro col prossimo profondo e misterioso. Dio sa entrare nelle esigenze profonde di ciascuno di noi, molto più di quello che noi stessi possiamo sapere. Tu poni una situazione davanti a Dio e Lui sa cosa darti, in un processo di bene infinito”.

Un “sostegno senza distanza” è un impegno nel tempo, non solo economico, ma affettivo.

“La continuità non mi spaventa, anzi. Direi che, da oggi, io e i miei confratelli questo bimbo lo abbiamo “adottato” per sempre. Se una persona entra nelle nostre preghiere, non esce più. E’ un’attenzione eterna e continuerà anche quando non ci sarò più io”.

E se, diventando grande, questo bambino vorrà conoscerla e incontrarla?

“Sarebbe un caso eccezionale. Se mai un giorno lui venisse in Italia, chiederei al mio superiore. Ma vedersi non è importante. Anche agli amici che sto salutando in questi giorni, prima dei voti, dico che non sarà facile vedersi, la vita monastica è molto ritirata. Ma ciascuno di loro è presente nel mio cuore”.

Uno degli impegni di Ai.Bi. nei progetti di vita che, proprio grazie al sostegno senza distanza, si portano avanti per ciascun bambino abbandonato, è quello di trovare una famiglia in cui possa crescere (o tramite il ricongiungimento ai suoi genitori naturali, ove è possibile, o tramite l’adozione).  Che cos’è per lei, monaco, la famiglia?

“Al di la delle definizioni giuridiche o dei dibattiti e delle polemiche che tanto animano il mondo di oggi, per me, da cristiano e da monaco, la famiglia è Dio. Il mistero trinitario, Padre, Figlio, Spirito Santo e il Figlio che si incarna in una Madre. E’ il mistero dell’amore. Quella è la perfezione. Poi, certo, nella realtà umana, la famiglia non è un luogo di pace, non illudiamoci. Piuttosto è un percorso, una scoperta quotidiana: è un grande cammino dove non c’è nulla di scontato. La genitorialità non è una vocazione acquisita, ci si scopre padri e madri, ci si scopre figli, lo si diventa a poco a poco. Forse è l’esperienza più complessa che ci sia nell’esistenza di ciascuno di noi, perché nella famiglia impariamo a capire chi siamo, la nostra umanità, la nostra vocazione fondamentale all’amore. Io, grazie a Dio, ho avuto una bellissima esperienza familiare. E credo che forse la sintesi più bella di cosa significhi essere genitori ed essere figli sia nelle parole del poeta Gibran:

“Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,

Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,

Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.

Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi”.