Dagli USA arriva modello per riaprire adozione internazionale in Africa

Riaprire l’Adozione internazionale in Africa: gli USA creano procedura per la verifica dell’adottabilità. Un modello da seguire

All’aumento degli Stati in cui l’adozione è stata chiusa o dove l’Italia non adotta più fa eco il grido di dolore dei bambini – sempre di più – che vivono situazioni drammatiche all’interno degli istituti. Ma gli Stati Uniti lanciano un esempio che merita di essere approfondito

Dagli USA arriva modello per riaprire adozione internazionale in AfricaL’ultimo in ordine di tempo è stato l‘Etiopia: addio alle autorizzazioni per le procedure di adozione internazionale, prima con messaggi informali tra autorità africana e diplomatici USA, poi confermata anche per tutti i Paesi europei – compresa l’Italia, per la quale ha certificato la novità una nota della Commissione Adozioni Internazionali del 7 novembre 2017.

Una chiusura delle porte che rappresenta – ancora una volta – una sconfitta per tutti. Innanzitutto, per i minori abbandonati, che comunque aumentano sempre di numero e continuano ad affollare gli istituti in condizioni psico-sociali drammatiche; per gli Stati che hanno deciso questo passo, perchè la sfiducia e la paura del traffico di minori da essi paventato (a volte a ragione) non risolve comunque il problema dell’abbandono infantile; per i Paesi adottanti, perchè con tutta probabilità nè le istituzioni, nè gli enti autorizzati hanno fatto tutto quello che era in loro potere per eliminare qualsiasi ombra e fantasma sulle procedure adottive, favorendo un proficuo processo di collaborazione e trasparenza che consentisse di rafforzare la cooperazione con i Paesi, soprattutto africani, su questo fronte.

Dagli Stati Uniti, però, rispetto alla ‘nebbia’ delle procedure adottive, arriva un raggio di sole che potrebbe facilitare una ripresa delle adozioni, con l’Italia in prima linea: è stata approntata, infatti, una procedura, denominata ‘Modello I-604’, studiata accuratamente dalle autorità USA per far sì che i funzionari delle loro Ambasciate possano accertare in modo trasparente l’adottabilità del minore, il suo stato di famiglia, le informazioni di contesto che lo riguardano e, soprattutto, la verifica della presenza o meno di rischi di traffico illegale nell’ambito di eventuali procedure di adozione.

Un metodo che andrebbe ripreso e attuato anche nel nostro Paese, per cercare di ravvivare un circuito virtuoso di adozione internazionale, come fanno già negli altri Stati. Perchè realtà come Etiopia, ma anche Repubblica Democratica del Congo – al momento chiuse alle possibilità di adozione, eppure straripanti di bambini che attendono di ritrovare la dignità di figli – possano ragionevolmente tornare sui loro passi e, carte alla mano, poter tornare a fidarsi della mano tesa dei Paesi adottanti.