Sette anni di carcere alla madre del neonato abbandonato senza vita a Merano. Ma la colpa è solo sua?

Le gravi responsabilità di un sistema istituzionale che ha lasciato questa giovane donna da sola con i suoi problemi

La vicenda del neonato abbandonato dalla madre, una giovane donna rumena venuta per lavorare in Trentino come raccoglitrice di mele, nelle campagne nei pressi di Merano, nelle vicinanze di Lana di Sopra, con il cordone ombelicale ancora avvolto attorno al collo e il piccolo corpo coperto soltanto da un panno, ha (comprensibilmente) sconvolto il territorio. Ma come è possibile che, nel 2019, possano ancora avvenire tragedie del genere? Come è possibile che questa giovane madre, che ha scelto di abbandonare un neonato al proprio destino, non sapesse dell’esistenza di una legge sul parto in anonimato?

E, in tal caso, di chi è la colpa? Perché, quando si leggono queste notizie il primo pensiero va a quel bimbo che non ha potuto vivere la gioia della vita, certo, ma anche a quanto quella madre debba essersi sentita sola. Questo gesto è anche una sconfitta per la nostra società che non è riuscita a proteggere un neonato e una mamma in difficoltà.

Ci si chiede perché questa mamma non abbia chiesto aiuto. La campagna di informazione sul parto in anonimato, in forma multilingue, è stata fatta ormai 10 anni fa ma dovrebbe proseguire in modo continuativo, con gli opuscoli lasciati in posti pubblici il più neutri possibile, come pure far conoscere dei vari servizi che possono esser di aiuto. E invece questo non è accaduto. E questa donna lasciata sola con tutte le sue difficoltà.

Una donna, una madre che, ora, dopo essere stata individuata, rischia una pena di sette anni di carcere. Quella punizione che, però, dovrebbe toccare anche a quanti la hanno lasciata a confrontarsi soltanto con se stessa. Quanta solitudine. Che tragedia.