“Sono veramente indignato! Perché sostenere Save The Children?”

 

Salve mi chiamo Alessandro e lavoro in una piccola Associazione che fa sostegno a distanza.

Vi scrivo perché sono davvero scioccato e stizzito. Ero infatti seduto davanti al televisore come tanti italiani tifosi della nazionale per assistere alla partita con la Danimarca. E cosa vedo? La Lega Serie A e la nazionale italiana hanno scelto di sostenere una campagna di una ONG straniera (Save the Children). Mi chiedo quindi come mai, nel giorno in cui con una partita di calcio si celebra la Nazione Italiana e l’orgoglio ( spesso mortificato di questi tempi ) invece di sostenere una ONG italiana ( e ce ne sono tante ) si fa una scelta che va contro ogni logica? Perché sostenere un’associazione straniera quando ci sarebbero tante realtà nazionali che avrebbero bisogno di un appoggio? E poi sarei curioso di capire se hanno pagato per questa promozione o se la Rai ha concesso loro uno spazio gratuito. Siamo veramente nell’epoca dell’apparenza e non della sostanza? Anche il non profit è oramai in mano delle multinazionali? Sono io che sono sbagliato o c’è veramente qualcosa che non va?

 

Gentile  Alessandro,

rispondiamo alla tua riflessione con il tuo stesso sentimento, contenti che tu abbia posto questa domanda che apre una serie di discussioni. E’ un dato di fatto che ci sia una crisi del sostegno a distanza, stanno sempre più diminuendo i sostenitori. D’altra parte è noto che le spese di solidarietà sono le prime ad essere tagliate. Completa il quadro un altro dato di fatto: la corsa, scatenata negli ultimi tempi, per rastrellare sostenitori, facendo leva su investimenti pubblicitari sempre più ingenti: spot, réclame e messaggi promozionali in onda sugli spazi acquistati da radio e televisioni, inserzioni e acquisto di pagine sulla stampa, testimonial pagati dalle organizzazioni.

Vi sono enti, specie quelli che sono emanazioni delle grandi realtà estere, che hanno aperto in Italia sedi operative unicamente dedite alla raccolta fondi. Centinaia di dipendenti, unicamente dedicati a questa mansione: raccogliere fondi e inviarli alle loro centrali operative per la gestione delle attività di sostegno a distanza.

Se vogliamo salvare il vero sostegno a distanza, quello promosso da organizzazioni non governative ben radicate nel tessuto locale, che si assumano la responsabilità in prima persona di questa attività, occorre vietare la possibilità di fare pubblicità su questa forma di aiuto. Il sostegno a distanza non può essere solo una raccolta fondi. Chi raccoglie, deve anche gestire in prima persona. Occorre istituire il divieto di pagare la pubblicità utilizzando i fondi raccolti con i sostenitori a distanza: il sostegno a distanza non è un prodotto né un detersivo con cui lavarsi la coscienza.