USA: “Cantavano cosi bene…che li abbiamo adottati tutti “. Ecco come 45 orfani liberiani sono diventati figli

Usa_liberiaErano andati negli USA solo a cantare per una sera, a portare il ritmo e la tragica storia del loro Paese in una piccola chiesa del North Carolina. Erano andati a chiedere ai fedeli della piccola cappella evangelica di Charlotte di pregare per il loro orfanotrofio.

Ma poi Lysa Terkeurst, madre di tre bimbe, si era seduta nell’ultima fila della chiesetta. Era in ritardo, credeva di non farcela, invece all’ultimo momento aveva trovato un parcheggio libero nel cortile ed era entrata. Cosi, dieci anni fa, quella musica e quella gioia spontanea di un coro di ragazzini di un orfanotrofio della Liberia avrebbe cambiato non solo la sua vita, ma anche quella della sua comunità e di 45 orfani africani.

La storia della Liberia ha un profondo significato per gli americani degli Stati del Sud come il North Carolina, poiché quel Paese africano era nato per iniziativa di un gruppo di schiavi affrancati, di ritorno dagli Stati Uniti d’America, finanziati nel loro avventuroso viaggio da un gruppo di aziende private. La capitale della Liberia si chiama per questo motivo Monrovia, in onore del Presidente James Monroe, che liberò moltissimi schiavi; ed anche la bandiera rievoca quella americana nelle forme e nei colori. Ma poi le due guerre civili (1989-1996 e 1999-2003) hanno reso profughi centinaia di migliaia di cittadini liberiani e distrutto la loro economia. Il tasso di disoccupazione supera il 50%, e causa purtroppo un mondo di bimbi abbandonati, oltre agli orfani delle guerre civili come quelli che dieci anni fa erano andati a portare la loro storia e la loro musica a Charlotte.

Quei bellissimi ragazzini venuti dall’altra parte del mondo sono saliti sul palco e hanno cominciato a cantare dal profondo della loro anima”, ha raccontato la Terkeust alla rete televisiva NBC, che è andata ad intervistare lei e la sua comunità, a fine maggio. Quella madre, insieme al marito, quella sera si erano innamorati di quei ragazzini e avevano deciso di adottarne due, di 13 e 14 anni.

Non riuscivo a toglier loro gli occhi di dosso”, ha raccontato, “Dio mi stava sfidando facendomi vedere, al di là della danza e della musica, anche la realtà di quel coro che sorrideva e cantava con immense gioia: quei ragazzini non avevano nulla, se non il loro abito africano che indossavano”.

I Terkeurst seguono il proprio cuore, e riescono ad adottare i due ragazzini.

Poi il miracolo: l’intera comunità si era fatta avanti, seguendo l’esempio dei Terkeurst e andando in Liberia ad adottare un totale di 45 maschi dallo stesso orfanotrofio e dello stesso coro.

I figli della signora Terkeurst, Jackson e Mark, non erano fratelli di sangue ma oggi sono inseparabili. Quando lei, alla fine del concerto, aveva stretto la mano di Mark, lui le aveva sorriso e, senza sapere ancora perché , gli era scappato di chiamarla oma , l’equivalente di mamma. E Jackson, anche lui spinto da un desiderio invincibile, l’aveva imitato. Entrambi avevano vissuto nell’orfanotrofio africano dall’età di sei anni, dopo che i loro genitori erano stati assassinati durante le guerre.

Oggi Jackson ha 24 anni e si sta laureando da una prestigiosa università americana.

Sto vivendo il sogno che facevo tutte le notti in quell’istituto”, ha raccontato all’intervistatrice dell’NBC. “Sono cosi felice di potermi svegliare al mattino senza più preoccuparmi della violenza che mi terrorizzava da bambino. In Liberia non sai mai cosa aspettarti, adesso vivo in un paese pacifico, in una casa dove mi sento amato e protetto”.

Fra le altre adozioni fatte a partire dal 2003 da quella straordinaria comunità, Genia Rogers ha adottato Robert (che oggi ha 21 anni), e ha raccontato: “Se ci pensiamo la nostra storia è come quella di un sassolino gettato nel lago, che forma un’onda che si continua ad allargare”.

La Terkeust ha infine svelato uno dei momenti più emozionanti e intimi della sua esperienza adottiva: “Una sera, Jackson mi ha presa per mano e mi ha chiesto di danzare. Ci siamo guardati negli occhi e per la prima volta gli ho detto che gli volevo bene. E lui, con le lacrime agli occhi, mi ha risposto Oma, I love you”.

 

Dalla nostra corrispondente dagli USA, Silvia Kramar

Fonte: Today.com