“Zucchina”, ovvero le emozioni di un bambino fuori famiglia

la-mia-vita-da-zucchina-11-1024x550Giovedì 1° dicembre, nella sala cinematografica della Fondazione Stensen, a Firenze è stato presentato “La mia vita da Zucchina”, un film d’animazione che racconta la quotidianità di un centro di accoglienza per minori fuori famiglia. Cristina Riccardi di Ai.Bi. lo ha visto in anteprima e racconta alla giornalista Sara De Carli di “Vita” perché questo film è davvero da vedere (ma non per i bambini). Di seguito riportiamo integralmente l’intervista.

 

«”Vai Zucchina, fallo per noi. Anche i bambini grandi possono essere adottati”: una frase così, prima ti colpisce alla pancia, poi al cuore, infine al cervello»: così Cristina Riccardi, membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. -Amici dei Bambini con delega alle accoglienze temporanee, sintetizza il suo giudizio sul film “La mia vita da Zucchina”, da venerdì 2 dicembre al cinema. Zucchina ha nove anni, i capelli blu e vive in una piccola struttura di accoglienza per minori, dopo aver visto la sua mamma morire.

Il film di Claude Barras, tratto dal libro Autobiographie de une Courgette di Gilles Paris, attraverso dei pupazzi animati in stop motion racconta la realtà quotidiana dei bambini che vivono fuori dalla loro famiglia. Zucchina (che in realtà si chiama Icaro), Simon, Ahmed, Jujube, Alice, Béatrice, Camille… hanno tutti storie complicate e dolorose alle spalle. La mamma di Zucchino ad esempio era alcolizzata, lui ha grossi sensi di colpa sulla sua morte e conserva in ricordo di lei una lattina di birra vuota. La presentazione del film, già applaudito dalla critica e premiato dal pubblico come Miglior film europeo al Festival di San Sebastian, è stata giovedì 1° dicembre a Firenze, nella sala cinematografica della Fondazione Stensen, alla presenza della referente locale di Aibi, Michelina Della Porta, che ha parlare della campagna “Fame di Mamma”, volta a sostenere le case famiglia e le comunità mamme bambino che AiBi ha in Italia. Il film prevede anche un “progetto scuole” ed è prenotabile per visioni dal 2 dicembre fino al termine dell’anno scolastico 2016/2017.

La critica cinematografica ha parlato molto bene del film. Lei che ne pensa?
Mi è piaciuto molto, ovviamente anche perché parla di un argomento che mi sta a cuore. È un film essenziale, delicatissimo, ma al tempo stesso prende la pancia. Usa un linguaggio e delle immagini che arrivano prima alla pancia, poi al cuore e infine alla testa, nel senso che al momento ti commuovi, ti suscita tenerezza, ma poi vai avanti a pensarci e a partire da una frase del film ti ritrovi a fare una vera riflessione.

La storia è realistica?
La storia in sé è se così si può dire “banale”: c’è un bambino orfano, con enormi sensi di colpa rispetto alla morte della madre, la fatica della vita in quella che non saprei come chiamare perché non è una comunità d’accoglienza nostra, italiana.

In che senso?
Quella che viene raccontata non è per nulla corrispondente non solo alle nostre case famiglia, ma nemmeno alle nostre comunità educative. C’è la direttrice rigida, qualche stereotipo sulle comunità c’è, direi che somiglia più a un vecchio istituto che a una comunità di oggi.