Mongolia: «Ma come, Francesca, a 29 anni non hai ancora figli?»

Francesca ha 29 anni, è di Milano. Da marzo 2011 è in Mongolia per svolgere un progetto triennale di cooperazione, cofinanziato dalla UE. Proponiamo la sua intervista.

«Sono stata in Zambia nel 2007 e in Brasile, nell’anno 2009-2010, entrambe le volte in campi per l’infanzia – racconta Francesca –. Esperienze completamente differenti da quella in Mongolia, dove la realtà inganna. Gli usi della popolazione sono molto simili ai nostri, le donne escono da sole, vestono come noi, hanno abitudini occidentali. Ma è solo un’immagine…». Le chiediamo perché. «Ad esempio, per una donna avere figli è un must. Vedendomi, chiedevano stupiti: “Ma come, alla tua età non hai figli?”. La cultura impone che le donne diventino madri preferibilmente sotto i 25 anni, senza troppo preoccuparsi del resto. I bambini infatti non crescono con i genitori. Le madri, dopo il parto, non modificano la loro vita. Ho visto ragazze continuare gli studi e andare a lavorare, lasciando invece il bambino ai nonni».

– E sui padri, cosa c’è da dire?
«Si può dire che l’uomo sia abbastanza inutile, che non faccia la sua parte nella società: tutto è da ricondurre all’alcolismo, che nel paese è un’autentica piaga sociale. L’uomo tende a sfuggire alle proprie responsabilità. D’altronde, senza che questo sia particolarmente scandaloso. È la donna l’elemento attorno al quale ruota tutto; l’uomo è solo funzionale alla famiglia, e basta».

Francesca ci relaziona sulle cifre dell’abbandono minorile nello Stato. Secondo le recenti stime del Ministero del Welfare e del Lavoro, i minori abbandonati dal genitore biologico sono 1100. «Numericamente è un fenomeno abbastanza imponente – commenta Francesca –, tenendo conto che il totale della popolazione è di 2 milioni di persone. C’è da dire che socialmente è un fenomeno accettato. Nei paesi dell’ex Unione Sovietica, gli Istituti per i minori sono una sorta di sostituto della famiglia, così come lo è l’affidamento ai nonni. La maggior parte dei 1100 bambini abbandonati ha entrambi i genitori viventi, il cui rapporto con i figli continua anche dopo averli lasciati presso l’Istituto».

– Qual è la situazione delle adozioni internazionali?
«La Mongolia, pur non avendo emesso dichiarazioni che le ostacolino, non effettua granché adozioni. I motivi risiedono nel basso numero di abitanti e nel fortissimo nazionalismo mongolo. Quando arriva nel Paese, lo straniero non è accettato subito. Inoltre, nella mentalità corrente, l’espatrio dei bambini implica il timore del traffico internazionale di minori».

– Parliamo del progetto che stai seguendo.
«È partito nel 2009, terminerà nel novembre 2012. Nel primo anno ha eseguito un programma di capacity building, mirato a rafforzare le competenze di protezione dell’infanzia presso gli organismi locali. Il secondo anno, il progetto ha messo in campo una serie di studi volti a reintegrare i bambini abbandonati presso le loro famiglie d’origine, secondo il principio, non ancora accettato dalla loro cultura, per il quale vivere in Istituto non è assolutamente compensativo della vita in famiglia. Il terzo ed ultimo anno di progetto prevede l’affidamento dei bambini che hanno esaurito le loro possibilità di reintegrazione familiare. Stiamo avviando un programma di formazione familiare all’affidamento e all’accoglienza; c’è bisogno di insistere, non di rado gli affidamenti si sono conclusi in maniera drastica, in quanto le famiglie non sempre sono preparate ad accogliere il bambino in tutto il suo complesso vissuto.

– Quali leggi regolamentano l’affido? Come vi muoverete con le autorità locali?
Nessuna legge disciplina l’affidamento familiare
. È il borgomastro o sindaco di ogni municipalità ad avere competenza riguardo la protezione dell’infanzia. Innanzitutto prepareremo le famiglie; in un secondo momento, caso per caso, discuteremo con le autorità per affrontare le diverse procedure di affido, nella speranza di ottenere quanti più nulla-osta possibile».

– Che cosa è maturato in te, in Mongolia?
«Il volontariato è sicuramente il lavoro più bello del mondo. Ma venire a farlo qui è per chi abbia una forte motivazione: si lavora h24/24, in un contesto dove sarai visto a vita come lo straniero».