16 maggio, Adozione benedetta. Don Tomatis: condividere il dono di un figlio

(Milano) A un giorno dal convegno “Un’adozione benedetta, un rito per accogliere nel nome di Gesù” – promosso da Ai.Bi. e l’associazione “La pietra scartata sabato 16 maggio alla Fondazione Ambrosiana Attività Pastorali – abbiamo intervistato Don Paolo Tomatis (Direttore dell’Ufficio liturgico diocesano di Torino e Membro della Consulta dell’Ufficio Liturgico Nazionale) per capire le prospettive pastorali del Rito di Benedizione dell’Adozione.
E’ possibile dare rilevanza ecclesiale all’atto dell’adozione?

Non solo è possibile, ma è auspicabile, nella misura in cui la famiglia adottiva e la comunità cristiana desiderano condividere nella fede il dono di un nuovo figlio. È un grande segno per la famiglia, che nei gesti e nelle parole del rito trova il linguaggio giusto per dare voce a sentimenti e convinzioni che altrimenti rischiano di rimanere inespressi. È un grande segno per la comunità cristiana, chiamata a riconoscere nell’evento dell’adozione un piccolo segno della venuta del Regno di Dio. Dove, infatti, la vita è accolta, riscattata, aperta all’accoglienza e all’amore, il bene vince il male e l’incontro con Gesù si svela nella forma misteriosa del bam¬bino prima abbandonato ed ora accolto.

Quali opportunità e prospettive pastorali intravede per il Rito di benedizione dell’adozione?

Il riferimento fondamentale non può non essere al rito dell’iniziazione cristiana dei bambini e dei fanciulli: non per battezzare subito e a tutti i costi, ma per lo stretto collegamento che lega l’esperienza dell’accoglienza della vita, dell’adozione e l’esperienza del vivere la vita da figli adottivi, nella fraternità della famiglia di Dio.
Questo collegamento può assumere la forma di un rito di accoglienza e di benedizione che, facendo memoria del battesimo ricevuto, ne esplicita alcune dimensioni; oppure può assumere la forma di un rito di accoglienza, che inaugura un itinerario di iniziazione verso i sacramenti. Anche là dove il battesimo non può essere proposto, per diversi motivi che vanno dalla fede del bimbo adottato al cammino di fede e appartenenza ecclesiale dei genitori, la possibilità di un rito più morbido, che attinge al grande tesoro delle benedizioni della Chiesa, si rivela un’opportunità molto significativa per rivelare il nesso che lega le esperienze più umane della vita con l’esperienza della fede e con la storia di Gesù.
Pensa che il Rito di benedizione dell’adozione possa aprire il varco a un’esperienza più ampia, aperta a tutte le famiglie che decidono di intraprendere il percorso dell’adozione?

Nella misura in cui è l’intera Chiesa ad integrare nella propria proposta pastorale la possibilità di un rito per l’adozione, l’accoglienza del bambino abbandonato emerge sempre più come un’esperienza “normale”, nel suo essere speciale: un segno evangelico attraverso cui il Regno di Dio viene nel mondo. Tale consapevolezza non può che essere di aiuto, tanto per le coppie che vivono l’esperienza della sterilità fisica, quanto per le famiglie che possono scoprire la gioia di una più grande generosità.