«Grazie Bolivia, i tuoi bambini abbandonati mi hanno insegnato la vita»

Annalisa è una giovane volontaria in partenza dalla Bolivia, dove, per quasi due anni, ha lavorato, sofferto e lottato per la cambiare la sorte dei bambini abbandonati, spianando la strada alle adozioni internazionali. Annalisa tiene un diario. Ha voluto regalarci una pagina che ha scritto. Eccola: la dedichiamo a tutti quei genitori adottivi che si chiedono spesso chi siano e che cosa abbiano sofferto i giovani che aiutano i loro piccoli a trovare la felicità.

«Questo è l’ultimo articolo che scrivo seduta alla scrivania dell’ufficio di AiBi- Bolivia. Sono passati 21 mesi da quando sono arrivata alle 2 di notte all’aeroporto di El Alto, 4000 metri di altitudine, un freddo pungente e le luci della città sotto i miei piedi.

In questi 21 mesi in cui ho avuto l’onore di lavorare insieme a sette persone meravigliose, sono tanti i ricordi e le esperienze che ho messo dentro al mio zaino e che mi accompagneranno per sempre, in qualsiasi posto andrò e qualsiasi cosa farò.

Ho capito che tutte le difficoltà che si incontrano sul nostro cammino non ci possono fermare, ma si devono trasformare inevitabilmente in risorse dalle quali far nascere qualcosa di buono. Ho capito che quella che può sembrare una lotta contro ai mulini a vento, in realtà nasconde sempre la possibilità di aprire una breccia in un muro di cemento armato. Ho capito che i sorrisi che ricevi dai bambini ti cancellano in un batter d’occhio tutte le angustie e le disperazioni che ti nascono quando ci si sente dire un “no” dalla direttrice dei servizi sociali, che dovrebbe tutelare la “normalità” della vita dei bambini in istituto senza farli sentire diversi da tutti gli altri bambini che, invece, una mamma ed un papà ce l’hanno.

Ho capito che l’incontro tra due genitori e il figlio che adotteranno, è un momento magico in grado di fermare il tempo, di annullare le distanze geografiche, culturali ed etniche. Ho capito che la coca-cola piace allo stesso modo ai bambini di uno stato socialista come a quelli di uno stato capitalista. Ho capito che non c’entra nulla il socialismo o il capitalismo: i bambini sono sempre gli ultimi ad essere ascoltati, aiutati e presi in considerazione. Ho capito che non mettendosi in discussione, non prendendo in considerazione idee diverse da quelle che si hanno sempre avuto, non essendo aperti al dialogo interculturale, non ammorbidendo quegli aspetti del carattere che ci hanno sempre accompagnato, non essendo in grado di scendere a compromessi, non avendo il coraggio di guardare le cose da una prospettiva che non avevamo mai considerato, non osando un po’ di più, non si arriva da nessuna parte.

Ho capito che ascoltare, osservare e poi parlare è la giusta dinamica per creare dei rapporti stabili e duraturi. Ho capito che un ragazzo che ha vissuto per 18 anni in istituto è la vittima di un sistema sbagliato, pauroso e codardo. Ho capito che sono una ragazza fortunata come poche perché non ho mai dovuto procacciarmi la sopravvivenza, a 7 anni, agli angoli delle strade, non ho mai dovuto frugare tra i resti del mercato per cercare qualcosa da mangiare, non ho mai ricevuto un regalo un po’ sciupato il giorno di Natale per la generosità di qualche benefattore, non ho mai dovuto dimostrare di essere un genio per poter vincere una borsa di studio e poter studiare. Ho capito che la vita è unica ed ineguagliabile, e come io ho avuto la possibilità di fare quello che desideravo ed affrancarmi attraverso il lavoro che ho sempre desiderato, allo stesso modo è giusto che anche coloro che non hanno le mie stesse possibilità abbiano la speranza di poterci riuscire. Questo è possibile se e solo se lo Stato, che dovrebbe tutelare questi bambini, riconosca i propri limiti e si lasci aiutare da chi ha come unico obiettivo dare una famiglia, un futuro e, quindi, una speranza ai “figli di Bolivia”. Ho capito che il mio lavoro è il più bello di tutti. Ho capito che il piangere, il magone, la tristezza, non sono un simbolo di debolezza ma sono stati d’animo che ti fanno sentire vivo e che ti danno la spinta per non accontentarti mai e cambiare le cose che non vanno.

Questi 21 mesi in Bolivia mi hanno fatto capire davvero molte cose, ma la più importante di tutte è questa: un bambino deve vivere con una mamma ed un papà, perché un bambino che diventa adulto in istituto sará un giovane a cui mancherà quel bagaglio di esperienze e di affetto che gli permetteranno di affrontare in modo sano e cosciente una vita matura e indipendente.

Lascio questo Paese con la speranza che tutti i granelli che ho seminato diano prima o poi dei frutti, sicura che i miei colleghi che rimangono saranno autonomi ed indipendenti.

Ho molta tristezza nel cuore per quello che lascio: l’ufficio, gli amici, i bambini, le montagne che mi circondano. Allo stesso tempo, però, sono entusiasta per le nuove esperienze che vivrò, i nuovi bambini che vedrò, i nuovi amici che incontrerò che in nessun modo rimpiazzeranno quelli che sto lasciando ma, sicuramente, entreranno nel mio zaino per accompagnarmi in questo viaggio chiamato vita.

Grazie a tutti quelli che hanno avuto la voglia di condividere un po’ di tempo con me. Grazie, Bolivia!».