«Lei del Nepal, lui del Congo… eppure sembrano nati dalla mia pancia!»

«Adottare un altro figlio? Scherziamo? Chi ve lo fa fare…». Non è raro di questi tempi sentire coppie e genitori scambiarsi parole così. Ma non per Enrico e Giada, genitori entusiasti di averlo fatto. Per un motivo speciale.

Sono una giovane coppia giunta alla seconda adozione. La prima esperienza, racconta Giada, è avvenuta 4 anni fa, in Nepal. Iter molto impegnativo, da quel che descrive, ma ne è valsa la pena pur di avere la gioia di stringere tra le braccia Maila, una bellissima bambina di 10 anni e mezzo (usiamo per lei e il fratellino, che presenteremo più sotto, due nomi di fantasia – ndr).

«All’inizio è stato difficile – sospira Giada –, Maila era davvero chiusa, aveva perso i genitori ed era stata separata dalla sua adorata sorellina. Un cuore spezzato, tutto da  fasciare. Non riusciva a scattare la scintilla che la legasse a me e a mio marito. C’è stato bisogno di tanta pazienza ma, una volta entrati nella prospettiva che ogni giorno di lavoro è una conquista in più, ce l’abbiamo fatta. Siamo famiglia. E siamo felicissimi. La nostra piccolina – continua Giada – dopo qualche anno, ha manifestato il desiderio di avere una sorellina».

Così Enrico e Giada hanno iniziato il loro secondo iter adottivo, stavolta in Congo. «Ogni cammino adottivo è diverso dal precedente – descrive Giada –. Dipenderà dal Paese, dal contesto o dalla storia irripetibile di ogni bambino, ma ogni volta sono sentimenti diversi e preziosi. La prima volta che ho visto il mio secondo figlio Robert, di 6 anni – ma in realtà sembra più piccolo –, quando ero in attesa con Enrico nella sala dell’Istituto e tremavamo stringendoci le mani, nervosi come due foglie, ho pianto esattamente come la prima volta che vidi Maila. Ricordo il giorno in cui siamo andati in istituto a prenderlo: è stato bellissimo e liberatorio, il bambino aveva gli occhi colmi di lacrime. Ci siamo subito sciolti in un lungo abbraccio. Ci siamo riconosciuti immediatamente. Si vedeva che ci aspettava».

L’impatto con il Congo è stato tremendo, per Giada. «C’è una miseria sconfinata: strade dissestate, immondizia ovunque. L’unico momento di colore in quei giorni era per noi andare a prenderlo. Insieme abbiamo disegnato, riso, scherzato… ancora adesso ringrazio il cielo per quei momenti, che non rivedremo mai più. Sono stati unici e irripetibili».

E la sorellona? Al rientro in Italia, Robert era molto emozionato. Sapeva che c’era già una sorella grande. «Ma lo era ancora di più Maila, che lo aspettava impaziente – svela Giada –. Era felicissima, agitatissima; i nostri parenti ci hanno detto che, la vigilia del nostro arrivo, non ha dormito tutta la notte ed era indecisa su cosa mettersi, ribaltando tutto l’armadio. Poi si sono conosciuti, subito è scattata la complicità, il gioco, l’affetto. Tra loro è stato subito amore.
Oggi litigano, ma si amano tantissimo! Lui le fa i dispetti, da buon maschietto. Lei invece ha un atteggiamento più maturo, molto materno… Si occupa di far indossare al fratellino persino il pigiama, come una vera mamma».

È stato difficile per Giada arrivare alla fine di quest’intervista senza commuoversi. E così per noi. Ma è bello sapere quanta potenza ha l’amore familiare sulla storia di una coppia e quanta forza ha sul destino di questi bambini. Specialmente quando si incastra con successo in un percorso delicato, quello di un figlio adottivo già grande. Problemi sciolti come neve al sole da Maila stessa, in questo caso, e dal suo desiderio di avere un fratellino. È lei la scaturigine di tanto amore, nelle parole di Giada che, commossa, conclude: «Io e mio marito siamo troppo felici dei nostri figli e dei nostri “cammini”. È naturale essere spaventati all’inizio, ma sono sensazioni uniche che vale la pena di vivere e rivivere. Magari, chissà… faremo anche la terza adozione».