Adozione internazionale. È importante che i mariti siano coinvolti nella scelta di accogliere un bambino abbandonato?

Il futuro padre che si lascia coinvolgere nei differenti passaggi dell’iter adottivo, favorisce la creazione di uno spazio di accoglienza adeguato per il figlio che arriverà e una crescita consapevole e armonica delle risorse di coppia

Spesso, quando si sente parlare di accoglienza, cura, accudimento, viene spontaneo tradurre la sensazione di comfort e di calore, che la pronuncia di questi termini genera con un’unica parola, che, in un colpo solo, li racchiude tutti: maternità.

Per la donna, la “maternità” di pancia o di cuore è un fatto istintuale e sovente la voglia di aprire la propria casa e il proprio cuore ad un bambino abbandonato, per donargli la gioia di una famiglia, bussa prima nel cuore della “futura mamma”, ma solo grazie al coinvolgimento del papà, alla decisione condivisa di affrontare questo percorso, il desiderio diviene reale e si gettano basi solide per il futuro.

Tutto questo per dire che, la figura del papà, che a volte viene lasciata un po’ sullo sfondo, è davvero importante nella scelta di accogliere un bambino abbandonato e il suo coinvolgimento, assieme a quello della madre, è fondamentale per “la creazione di uno spazio di accoglienza adeguato per il figlio che arriverà e una crescita consapevole e armonica delle risorse di coppia”.

Vediamo il perché assieme a Francesca Berti, psicologa e psicoterapeuta di Ai.Bi.

 Il ruolo genitoriale del padre è stato studiato sempre di più nel corso degli ultimi decenni, complice un grande cambiamento culturale in atto rispetto ai ruoli di genere nella società, che ha visto fiorire approfondimenti di ogni tipologia sulle funzioni genitoriali e le “nuove” dinamiche familiari.

Da sempre, la più studiata, la funzione materna, al di là di chi la adempie, è quella deputata all’accoglienza e all’accudimento: è quella che nutre, si prende cura, custodisce, protegge, garantendo una “base sicura” e continuità di risposta ai bisogni sia concreti che psichici del nuovo arrivato.

La funzione paterna è più legata alla regolazione e alla guida nel mondo, all’emancipazione.

Le regole e i limiti con cui i bambini si trovano a confrontarsi rappresentano per loro la possibilità di orientarsi nel caos del mondo e non sentirsi soli nell’affrontarlo. Le regole familiari hanno questa funzione anche quando i figli scelgono di trasgredirle.

La funzione paterna è anche quella di accompagnare il figlio alla scoperta del mondo, aiutandolo a crescere, nel distacco dalla dipendenza, e a costruire il proprio sé separato e individuale.

Non necessariamente i codici coincidono con il maschile e il femminile biologico e soprattutto si può assolvere una determinata funzione anche in parte, coadiuvandosi e integrandosi con l’altro.

Entrambe le funzioni però sono fondamentali per garantire ai figli la soddisfazione dei bisogni di contenimento e al contempo anche i suoi bisogni di autonomia.

Rispetto al ruolo del padre, viviamo un momento storico e sociale del tutto nuovo e ricco di potenzialità interessanti.

Fino alla metà del secolo scorso il padre era una figura fondamentalmente assente dal percorso di crescita dei figli. Man mano che la società si trasformava poi, i ruoli di genere sono diventati più fluidi, anche all’interno della famiglia.

L’autoritarismo ha perso legittimità e interesse e oggi i padri, a differenza di un tempo, sono molto presenti nella vita dei figli, talvolta in difficoltà nella ricerca di un modo propriamente “paterno” e personale per aiutarli a crescere.

Nella genitorialità biologica la mamma sperimenta i segnali del suo corpo che cambia e ha modo così di iniziare a elaborare i tanti sentimenti ambivalenti, tra la gioia e la paura, l’euforia e la preoccupazione, legati all’essere genitori. Inoltre, ha delle mutazioni ormonali fisiologiche che la aiutano a prepararsi ad accogliere.

Ci sono evidenze scientifiche che mostrano anche nei padri una predisposizione biologica all’accudimento del bambino.

Se il padre è coinvolto si verificano cambiamenti ormonali simili a quelli materni, seppur meno intensi e duraturi. Le ricerche in tale ambito rilevano che la mamma è praticamente sempre “accesa” e pronta per accudire il suo piccolo, mentre il padre deve essere attivato; ne deriva che, paradossalmente, il padre può avere più bisogno di incontri e corsi di preparazione alla nascita rispetto alla mamma, che può invece contare anche su un innato intuito.

Tutto questo ha a che fare anche con la genitorialità adottiva, e forse anche di più.

Le coppie, nell’adozione, compiono tutti i passaggi in maniera congiunta. Elaborano il loro desiderio insieme all’altro, seguono i vari passaggi sempre in coppia.

Il futuro padre adottivo, che si lascia coinvolgere nei differenti passaggi dell’iter e della preparazione all’accoglienza di un figlio in stato di abbandono, inizia, insieme alla futura mamma, a “mentalizzare” il bambino, cioè a farsene un’idea e a pensarlo, anche se in maniera ideale e fantastica. Questo processo favorisce la creazione di uno spazio di accoglienza adeguato per il figlio che arriverà e una crescita consapevole e armonica delle risorse di coppia.

Affinché questo complesso processo creativo possa sviluppare tutto il suo potenziale occorre che entrambe le figure genitoriali siano presenti, fisicamente ed emotivamente, che siano parimenti coinvolte in tutti i passaggi che li porteranno ad accogliere un bambino che andrà aiutato non solo a costruire la propria “nuova” storia, ma anche a rielaborare la sua precedente storia, molto spesso ricca di difficoltà e dolore.

“Le case felici sono costruite con mattoni di pazienza”. (Harold E. Kohn)

Francesca Berti

Psicologa e psicoterapeuta di Ai.Bi. –  Associazione Amici dei Bambini