“Baba”, “mama”: cosa significano queste parole per un orfano siriano?

Bambine siriane teatroUna piccola profuga siriana vende fiori a lato della strada, quando viene avvicinata da una famiglia di locali, che vorrebbero farle un’offerta. La bambina rifiuta: «Non ho bisogno dell’elemosina, mi basta che compriate questo mazzolino.» I suoi interlocutori non capiscono il perché, o forse non vogliono capire: s’impuntano, vogliono donarle dei soldi, convinti di fare un bel gesto. Insistono.  Fino a che, di fronte alle resistenze della bambina, se ne vanno, gettando con un gesto sprezzante i suoi fiori per terra. Ed è qui che comincia il monologo, da pelle d’oca.

La prima volta che ho assistito alla rappresentazione di questo breve sketch è stato mercoledì scorso, presso un centro di supporto psicosociale per donne e minori a Reyhanli. Questa compagnia “sui generis” è composta da bambini siriani rifugiati in Turchia, che recitano e cantano sotto la direzione attenta e premurosa di due volontarie; scopo dell’iniziativa è aiutarli a superare il trauma della guerra attraverso l’attività teatrale. Alcuni di questi bambini sono orfani e sanno bene cosa significhi vivere senza uno o entrambi i genitori.

«Mama, mamacosa vuol dire mama per te?» è il grido affranto della piccola profuga, magnificamente interpretata da Ruha, la “primadonna” del gruppo. «Baba, baba… sai cosa si prova a pronunciare questa parola, quando non si ha più un padre?»

Al termine del suo assolo drammatico, la venditrice di fiori viene raggiunta da un’altra bambina, orfana come lei, che l’abbraccia e intona un canto consolatorio, con voce dolce e malinconica. Una performance da applausi, brividi e lacrime.

Difficile descrivere quello che ho provato di fronte a questo piccolo, grande spettacolo di grazia e umanità. Avevo di fianco un amico che mi traduceva simultaneamente dall’arabo, ma ho perso il filo quasi subito, assorbito com’ero dalla drammaticità dell’interpretazione, estasiato da tanto talento, commosso al pensiero di trovarmi di fronte a qualcosa che andava ben al di là della semplice finzione scenica.

E all’improvviso la lingua non è stata più d’ostacolo: per qualche strana ragione, riuscivo a comprendere quello che queste bambine volevano comunicarmi, oltre le parole, il copione e le maschere dei personaggi da loro indossate. Perché il dolore, in fondo, utilizza un lessico universale, che nel teatro trova una delle sue espressioni più dirette ed emozionanti.

Appena terminata la breve rappresentazione, Ruha e le sue amiche si sono avvicinate, con la curiosità tipica della loro età: si sono presentate, mi hanno stretto la mano, hanno chiesto chi fossi. Vederle sorridere mi ha aperto il cuore. È questa l’interpretazione che preferisco, ho pensato: quella da bambine “normali”, piene di vita e ancora capaci di stupore. Quando ho confidato loro di aver recitato per tanti anni a livello amatoriale, tra Italia e Australia, hanno esclamato: «In effetti ci sembravi un attore!»

Tutti abbiamo riso. Ed è così che mi hanno lasciato entrare nel loro mondo e siamo diventati amici.

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.