Codice del Terzo settore. Ora anche gli enti autorizzati all’adozione internazionale dovranno pubblicare i bilanci

Spariscono le onlus, arrivano gli Ets, nasce il Registro unico nazionale del Terzo settore, aumenta la trasparenza e cambiano le agevolazioni fiscali e i metodi di finanziamento. Sono queste alcune delle principali novità introdotte dagli oltre 100 articoli dell’ultimo decreto collegato alla Riforma del Terzo settore (dopo quello sul 5 per mille e sulla “nuova” impresa sociale), il Codice del Terzo settore, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nella serata del 2 agosto 2017 e in vigore dal 3.

Sull’argomento dedica ampio spazio Vita in un articolo pubblicato il 2 agosto e che riportiamo nella sua versione integrale.

Vediamo alcune disposizioni del testo, tenendo presente che per completarlo e dettagliarlo sono attesi nei prossimi mesi diversi altri decreti, che scenderanno nel particolare e che via via chiariranno molti punti oggi lasciati volutamente sulle generali.

Il decreto inizia, come di consueto, dalle definizioni. Si definiscono quindi «enti del Terzo settore», o Ets (va in pensione l’acronimo onlus), le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni riconosciute e non, le fondazioni e gli altri enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.

Questi enti, per essere tali, esercitano principalmente le cosiddette «attività di interesse generale» e hanno «finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Tra le attività di interesse generale, il legislatore le ha incluse praticamente tutte, da quelle sociali e sanitarie, alla formazione, alla salvaguardia dell’ambiente, dalla cultura (editoria compresa) alle attività di turismo sociale e religioso, dalla cooperazione internazionale al commercio equo, dall’agricoltura sociale all’adozione internazionale passando per i «servizi ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al 70 per cento da enti del Terzo settore». Attività diverse possono essere svolte, come in passato, a condizione che siano secondarie e strumentali.

Viene poi “istituzionalizzato” il fundraising, che gli Ets possono svolgere – dice il decreto – «in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore», e si pone un tetto alle retribuzioni sia in alto che in basso: non si possono infatti retribuire i dipendenti con «compensi superiori del 40 per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi», né riservare loro un trattamento economico inferiore a quello previsto dai contratti collettivi; ogni caso, negli Ets la differenza retributiva tra dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto.

Quanto alla trasparenza, si stabilisce che gli Ets debbano redigere un bilancio formato dallo stato patrimoniale e dal rendiconto finanziario, oltre alla relazione di missione che descriva il perseguimento delle finalità statutarie; gli enti con ricavi o entrate superiori al 1 milione di euro devono anche depositare presso il registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale.

E veniamo alle agevolazioni fiscali. La detrazione Irpef sale al 30 per cento per le erogazioni liberali in denaro o in natura effettuate a favore degli Ets, fino a un massimo di 30.000 euro; il vantaggio arriva al 35 per cento qualora l’erogazione vada a favore di organizzazioni di volontariato. Inoltre, le liberalità sono deducibili dal reddito del donatore nel limite del 10 per cento. È istituito infine un credito d’imposta del 65 per cento per le persone fisiche e del 50 per cento per le società che donino agli Ets impegnati nel recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

Altra novità assoluta è l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore, gestito su base territoriale in collaborazione con ciascuna Regione, che consta (per ora) di sette sottosezioni: a) Organizzazioni di volontariato; b) Associazioni di promozione sociale; c) Enti filantropici; d) Imprese sociali (comprese le cooperative sociali); e) Reti associative; f) Società di mutuo soccorso; g) Altri enti del Terzo settore. Il Ministero si riserva di apportare successive modifiche a questa ripartizione, come del resto – lo ripetiamo – nei prossimi mesi altri cambiamenti e novità potrebbero essere in vista.