Deroghe alla didattica a distanza: il caos delle richieste per entrare in classe nonostante le scuole chiuse

Come riportato anche da  AiBiNEWS in un recente articolo, ci sono categorie di genitori che hanno diritto a richiedere la didattica in presenza per i propri figli. Come fare (in teoria) e cosa succede (in pratica).

La norma era presente già in una nota del Ministero dell’Istruzione del 3 novembre 2020, ma per la maggior parte dei genitori è stata una scoperta avvenuta solo in questi giorni, in seguito alle nuove disposizioni che hanno imposto la didattica a distanza a un numero sempre maggiore di studenti di ogni ordine e grado.
Stiamo parlando della possibilità di chiedere una deroga alla DAD e mandare ugualmente i figli in classe nonostante le scuole chiuse.

Scuole chiuse, tra disagi e diritti

La possibilità, come detto, era già stata prevista dal Ministero, che chiariva come la possibilità di usufruire della didattica in presenza dovesse essere garantita agli studenti con disabilità, BES e “nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste… agli alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…), direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali…”.

È a questo punto, però, che si innesca il vero caos, perché i genitori, alimentando la speranza di poter mandare i propri figli a scuola nei tam-tam delle chat di classe, si chiedono se anche loro rientrino nel novero dei key worker. Il riferimento, in questo caso, è il DPCM del 22 marzo 2020, dove, nell’allegato 1, è riportato l’elenco delle attività (con relativi codici ATECO) che “restano sempre consentite… per assicurare la continuità delle filiere … nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali…”.

Fin qui la teoria che, per quanto sia da ricostruire tra decreti e note, pare abbastanza chiara.
Il problema, come sempre, è il passaggio alla pratica, perché le categorie comprese nell’elenco comprendono una cerchia molto ampia di lavoratori e, soprattutto, l’ultima parola sull’accettazione della richiesta di attivare la didattica in presenza (tramite un’autocertificazione) spetta alle singole scuole, cui è concesso dall’autonomia un notevole margine di organizzazione.

Problemi di organizzazione

Il problema è che tante scuole chiuse non hanno le risorse per attivare la didattica in presenza e nel contempo garantire “comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata” o in DAD.
Ma non è solo una questione di risorse, perché quando anche quelle ci fossero, l’organizzazione in sé diventa molto complessa: tante scuole, per esempio, prevedono un orario ridotto in DAD, a volte dividendo la classe in due gruppi per riuscire a condurre meglio le lezioni, specie per gli alunni più piccoli: in un quadro del genere, i bambini che dovessero andare in presenza come si inserirebbero?
Come ha spiegato il preside Mario Rusconi, guida dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio, al Sole 24 ore: “Questo principio, per quanto di grande generosità istituzionale, fa fatica a tradursi in concreto, in questa situazione specifica. Questi allievi infatti rischiano di ritrovarsi da soli in classe senza i compagni, in molte circostanze sono anche le famiglie a non volerlo, proprio per questo motivo”.
Insomma, più che una soluzione (per pochi) la possibilità di richiedere la didattica in presenza appare un problema che si aggiungerebbe ai tanti, troppi, altri problemi di una scuola che mai è apparsa in affanno (e sacrificata) come in questi giorni.