«Noi, genitori adottivi dimenticati I nostri figli bloccati in Congo»

rdc3 (1)Cento coppie italiane in attesa di notizie dei bambini: «Hanno il nostro cognome. Il governo di Roma non ci ascolta». Accuse alla Commissione che si occupa dei rapporti con i Paesi stranieri. In cinque anni gli arrivi di minori stranieri si sono dimezzati. Di tutto ciò parla la giornalista del “Corriere della Sera” Margherita De Bac in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato sabato 5 marzo.

 

Sono diventati amici inseparabili, uniti da una cattiva sorte. I figli adottivi sono bloccati nella Repubblica democratica del Congo. La legge é cambiata e le autorità locali stanno riesaminando oltre un migliaio di fascicoli internazionali. E loro li aspettano con tenacia, nell’animo un misto di dolore e rabbia: «Hanno i nostri cognomi, appartengono alla nostra famiglia a tutti gli effetti, c’è la sentenza definitiva dei tribunali delle città di provenienza. E nessuno da Roma ci tiene informati su quando e se potremo mai abbracciarli», si sfogano tre coppie di genitori. E’ un fine settimana di marzo, si sono incontrati per trascorrere due giorni insieme e farsi forza. L’esperienza comune ha creato un sodalizio inossidabile e ha portato alla nascita di un Comitato che si batte per la risoluzione di questa vicenda infinita. Circa 150 minori fermi negli orfanotrofi del Paese africano in attesa di ricongiungersi ai nuovi papà e mamme.

 

La mossa di Obama

Alba, Fabrizio, Alessandro e Antonella parlano per tutti, l’indice puntato sulla Commissione adozioni internazionali, il Cai, istituita presso la presidenza del Consiglio. Non si sarebbe adoperata con sufficiente impegno al fine di sbloccare la situazione, non sarebbe intervenuta presso le autorità di Kinshasha: «Per ricondurre a casa i figli affidati a genitori americani si é mosso perfino Obama. Non ci risulta che dall’Italia siano partite azioni forti. Ci hanno lasciati soli. Non ci arrivano neppure informazioni». C’è un sentimento ostile nei confronti della presidente della Commissione, Silvia Dalla Monica, nominata due anni fa dal premier Renzi, ex pm al processo sul mostro di Firenze. I genitori denunciano la mancanza di dialogo, l’assenza di contatti. Il 19 febbraio alcune famiglie hanno ricevuto una breve comunicazione da parte del Cai: «Ottime notizie da Rdc, altri bimbi possono raggiungere i loro genitori in Italia. A breve daremo altre buone notizie. Un caro saluto». Poi silenzio.

Una vita sospesa

La storia é lunga e complicata. Nella Repubblica africana il blocco é scattato nel novembre 2013, sospesi circa 1200 dossier internazionali già conclusi con altrettante sentenze positive di affidamento. Uno stop dovuto alla decisione delle autorità congolesi di modificare la legge interna in senso restrittivo per rendere più trasparenti le pratiche nell’interesse dei minori abbandonati. A marzo 2014 la ministra delle Riforme Elena Boschi, che non ha delega sulle adozioni, tornò dal Congo in compagnia di alcuni di questi bambini. Famosa la foto delle treccine sull’aereo di Stato. Un mese fa sono arrivati a Fiumicino, via Bruxelles, altri 10 bimbi. «Abbiamo la sensazione che da Roma non sia stato fatto abbastanza. Viviamo una vita sospesa, incompleta», raccontano Alba e Alessandro. Della loro Angela, 3 anni, hanno visto solo una foto, sotto due righe scritte dall’orfanotrofio di Kinshasha. Fabrizio e Annalisa sono in attesa di accogliere Marie Benedicte, 7 anni, sorellina di Claudio e Zaccaria, già in Italia dal 2011. Erano sul punto di prenderla quando é scattato il blocco: «Lì dentro ho lasciato il cuore», si commuove Fabrizio pensando all’orfanotrofio. Antonella e il marito sono sulla carta mamma e papà di Paulda e Winner, due bimbetti intravisti in un video, di cui non sanno niente più. In polemica col Cai anche gli enti italiani autorizzati ad assistere le coppie nell’adozione di stranieri. Secondo Marco Griffini, fondatore dell’associazione Aibi, é anche questa la causa della crisi delle adozioni internazionali, un fenomeno globale: dal 2010 al 2015 gli arrivi di figli stranieri nelle nostre famiglie si sono dimezzati. «I problemi sono l’eccesso di burocrazia e il disinteresse del governo. Non vengono avviati rapporti bilaterali con nuovi Paesi. I tempi per preparare i dossier e rispedirli a Kinshasha sono lunghissimi. Pensiamo soltanto alla traduzione delle sentenze», denuncia Maria Teresa Maccanti, dell’associazione Naaa Network Onlus.

 

Qualità e non quantità

In una recente intervista radiofonica Silvia Dalla Monica ha replicato che il calo delle adozioni é un problema globale e che in Italia é inferiore al resto del mondo: «La diminuzione é un elemento positivo, significa che le condizioni dell’infanzia nei Paesi di origine sono migliorate e che le autorità locali sono più attente. In Colombia, ad esempio, si da precedenza all’affido parentale. Noi privilegiamo la qualità delle adozioni, la trasparenza. Non ammettiamo i traffici, stiamo cambiando la mentalità di quelli che insistono sulla quantità». Parole interpretate dagli enti come una critica al loro operato. «Questa tensione non fa bene – commenta Melita Cavallo, ex presidente del Cai e del tribunale dei minori di Roma – Il dialogo con i tribunali e la collaborazione con gli enti é fondamentale. Non bisognerebbe dare all’estero l’impressione che c’è poca fiducia negli enti».