Giappone. I figli sottratti ai genitori europei. Dopo un divorzio il rischio è di non vederli mai più

Ogni anno 150mila i bambini separati dal padre o dalla madre. Il Parlamento UE approva una risoluzione, ma Tokyo non ci sta

Un genitore europeo, l’altro giapponese. Quando le cose non vanno, e arriva purtroppo una separazione, con chi finiscono i figli? Un fenomeno preoccupante (e in crescita) è quello della sottrazione di minori da parte del genitore di nazionalità giapponese. “Secondo l’associazione Kizuna – riporta il quotidiano online Linkiesta.itogni anno sono almeno 150mila i bambini che vengono separati dal padre o dalla madre e tra questi ci sono anche 15 genitori italiani come Tommaso Perina, manager che vive da anni a Tokyo ma che non vede i suoi figli da più di mille giorni“. “L’ultima volta – racconta l’uomo – li ho visti ad agosto 2017: è stato un incontro di appena due ore, chiuso in una sala sorvegliata dall’avvocato di mia moglie. Niente foto, niente regali. Da allora non sono più stato in grado di vederli e non so più niente di loro, nonostante io sia ancora formalmente sposato e abbia la patria potestà. Anche l’Alta Corte mi ha dato ragione e mi dà il diritto di vederli ma se provo ad avvicinarmi ai miei figli rischio di essere arrestato, nel migliore dei casi”.

Giappone. Figli e genitori europei. I casi di sottrazione dopo il divorzio e il Parlamento UE

Il caso è talmente allarmante che il parlamento europeo ha addirittura votato una risoluzione in materia. La risoluzione, firmata dalla deputata spagnola del Partito Popolare Europeo Dolors Montserrat, presidente della Commissione per le petizioni, non ha un valore vincolante, ma, all’articolo 21, obbliga testualmente “gli Stati membri a informare, attraverso i loro ministeri degli esteri e i siti web delle ambasciate in Giappone, in merito al rischio di sottrazione di minori nel paese e al comportamento delle autorità giapponesi in materia“. Il Giappone ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia nel 1994 e, nel 2014, anche la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e sarebbe pertanto in difetto relativamente al rispetto dei diritti fondamentali espressi da questi documenti. Così, leggiamo sempre su Linkiesta.it, “nel 2019 26 ambasciatori degli Stati membri dell’Unione presenti in Giappone hanno scritto una lettera al ministro della giustizia giapponese per chiedere il rispetto delle regole internazionali. Lo stesso hanno fatto il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, che hanno chiesto direttamente al premier Shinzo Abe di tener fede agli impegni presi”.

Ma il Governo di Tokyo non ci sta: ha infatti replicato alle accuse affermando di aver restituito 29 bambini in 35 dispute nel corso degli ultimi sei anni e di averne tenuti soltanto tre nel Paese. Alla radice del problema vi è una ragione essenzialmente culturale e giuridica. In Giappone non è previsto l’affido condiviso, perché, secondo il costume nipponico, quando una coppia divorzia la famiglia si scinde e i figli, considerati proprietà dei genitori, devono rimanere soltanto con uno di essi. Una tradizione che, nelle intenzioni, servirebbe a preservare i figli dallo stress di una “doppia vita”. Ma anche un costume che, spesso, li priva per sempre di un genitore che, nell’80% dei casi, non rivedono mai più. “A volte preferisco pensare che mio figlio sia morto, così soffro di meno”, ha raccontato un padre al quotidiano francese Paris Match.