Il fallimento dell’affido: tempi troppo lunghi, reinserimenti complicati, inesistenti i rapporti con la famiglia di origine

affidoI reinserimenti dei minori nelle famiglie d’origine continuano ad essere complicati dati i tempi lunghi con cui avvengono gli affidamenti e lo scarso, o a volte inesistente, rapporto tra la famiglia affidataria e quella d’origine. Due elementi che, appunto, ostacolano un sereno ritorno a casa del bambino che molte volte rimane nella famiglia affidataria fino alla maggiore età.

Questa è la fotografia scattata dalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova, che ha condotto una ricerca sull’ istituto dell’ affidamento per la Provincia di Piacenza . I risultati sono stati presentati all’ Eusarf 2014 (European Scientific Association on Residential and Family Care for Children and Adolescents ) che si è svolto il 5 e 6 settembre a Copenaghen.

Dal rapporto della Fondazione risultano «insoddisfacenti gli esiti del lavoro svolto con le famiglie d’ origine» e in molti casi non sono modificate le condizioni che hanno portato all’ allontanamento del bambino, il cui ritorno a casa è difficile.

La ricerca prende in esame i percorsi assistenziali di 136 bambini in affidamento nel periodo 2010-2012. «Già prima dell’ affido due minori su tre –  dice Cinzia Canali , ricercatrice della Fondazione Zancan – erano stati allontanati dalla famiglia di origine: il 20% viveva in casa di parenti o in affido, l’ 11% era ospitato in una struttura residenziale». Nella maggior parte dei casi «i bambini hanno problemi coesistenti: psicologici, sociali ed educativi. E anche i loro genitori vivono situazioni di difficoltà gravi». I dati finali: il 56% dei bambini è ritornato a casa (con entrambi i genitori o solo con la madre), uno su quattro è andato a vivere con un parente; in qualche caso il ragazzo è stato trasferito in un ambiente residenziale (7%), è rimasto nella famiglia affidataria anche se maggiorenne (7%), o è stato avviato un nuovo percorso di affido.

Alla stessa Conferenza di Copenaghen, la Fondazione Zancan ha presentato altri progetti. L’indagine coinvolge un campione che dai 400 preadolescenti attuali arriverà fino a1.000, con l’ obiettivo di monitorarne condizioni di crescita e sviluppo, dall’ infanzia all’ età adulta (12-18 anni) a livello fisico, relazionale, emotivo, delle capacità e delle aspettative di vita attraverso la relazione con i genitori, la scuola e lo sport. Lo studio, infatti, coinvolge non solo ragazzi e famiglie ma anche scuole, enti locali, aziende sanitarie, organizzazioni del territorio. Alla fine, si forniranno indicazioni a genitori, agli insegnanti e ai soggetti impegnati nell’ adolescenza.

Il terzo progetto rappresenta l’ applicazione italiana dell’iniziativa Tfiey Transadantic Forum on Inclusive Early Years ). Obiettivo: individuare politiche, strategie e pratiche innovative rivolte alla tutela della prima infanzia (in particolare per i bambini in famiglie a basso reddito, immigrati o che non hanno il necessario), coinvolgendo tutti gli attori responsabili della tutela dell’ infanzia, autorità pubbliche, operatori, Terzo settore, ricercatori, magistrati, giornalisti, educatori ed opinion leader.  «L’ Italia sul fronte dei servizi all’ infanzia – dice Tiziano Vecchiato , direttore della Zancan -, vive una condizione di profonda frammentazione». Basti pensare al numero dei minori in povertà assoluta in Italia: ben 1.434.000. E alla forbice esistente tra le regioni sui minori in condizioni di povertà relativa si passa dal 5 ,5% del Veneto al 42 ,3% della Sicilia. Un dato inaccettabile. Che ci pone sotto la media europea.