Il terzo settore è in crisi? Perché non pensare al quarto? Il mondo del volontariato rivendica un nuovo spazio

photo2423All’assemblea del Forum del Terzo settore, tenutasi il 30 gennaio e in cui è stato eletto il nuovo portavoce Pietro Barbieri, è andato tutto come al solito.

Il non profit italiano si è incontrato, ha, come si suol dire, discusso molto vivacemente, si è diviso su tutto e alla fine ha prodotto un documento programmatico, che per vaghezza e genericità potrebbe fare concorrenza a molti dei programmi politici per le imminenti elezioni.

Insomma, ormai incapace di fare riconoscere il proprio pur fondamentale ruolo nella vita del paese, basti pensare ai continui tagli al 5×1000 o alla soppressione dell’Agenzia per il Terzo settore, il non profit italiano si sta forse avviando a fare la fine dei capponi di Renzo di manzoniana memoria, che si beccavano tra loro mentre, tutti insieme, stavano andando in pentola.

Di fronte ad un’ incapacità di darsi una rappresentanza pronta ad essere efficace che dura ormai da anni, vale forse la pena di chiedersi se, prima di cercare una forse impossibile sintesi, non sia opportuno capire se le anime che si muovono dentro il non profit non costituiscano ormai più di un solo settore e se, ad esempio, non valga la pena di cominciare a considerare separatamente un Quarto settore, quello del volontariato.

Vediamo di capire perché.

Oggi il non profit si trova spesso ad essere semplice sostituto della pubblica amministrazione nella fornitura di prestazioni assistenziali, quando serve un risparmio di costi o di tempo. Tuttavia, il suo ruolo in un modello di welfare compiuto e sostenibile dovrebbe essere dedicato ai due casi in cui il non profit può dispiegare tutto il proprio potenziale.

Il primo è costituito da tutti i servizi alla persona in cui è necessario produrre relazioni oltre che beni. Posso ad esempio curare un malato e le cure sono un bene di mercato alle quali è possibile dare un prezzo, posso però farlo standogli vicino e confortandolo oppure no. Se, oltre a curarlo, gli sto vicino, sto producendo beni relazionali, costruisco cioè una relazione che non è rilevabile attraverso meccanismi di mercato, non ha un prezzo, ma produce reciprocità. I beni cosiddetti relazionali, oggetto di studio da parte della ricerca economica da una decina d’anni a questa parte, sono beni cioè che hanno un valore sociale in termini appunto di costruzione di relazioni e, attraverso queste, di virtù comunitarie come la fiducia e l’apertura agli altri.

Il secondo caso è invece costituito da tutti gli ambiti in cui i beni da produrre sono sì valutabili attraverso meccanismi di mercato, ma non sono redditizi in una logica profit. L’esempio può qui essere dato dalle malattie rare, per le quali la produzione delle relative medicine non potrà mai avvenire in utile.

Partendo da questo assunto, si può allora arrivare a concludere che nella galassia non profit è presente un Terzo settore, che produce beni e servizi ad alto valore sociale, talvolta non redditizi ma pur sempre di mercato, e un Quarto settore, in passato definito volontariato, che, suddiviso in tante organizzazioni grandi e piccole, costruisce comunità.

E’ evidente che intenti, obiettivi e motivazioni di due settori siffatti sono probabilmente destinati a divergere sempre più. Questo è forse uno dei motivi per cui il non profit italiano non è più in grado di darsi una rappresentanza degna di questo nome.

Potrebbe allora essere un esercizio interessante per le organizzazioni non profit italiane provare a capire in quale settore si riconoscono di più. Se cioè la loro ragione d’essere primaria è la produzione di beni di mercato, sia pure socialmente utili, o la costruzione di relazioni e comunità.

Forse, tra una cooperativa sociale che si muove ormai in una logica completamente di mercato e un’organizzazione di volontari che tiene vivi i legami di una piccola comunità, come tante ce ne sono in Italia, le differenze sono oramai superiori ai punti di contatto.

Potremmo anche scoprire che Terzo e Quarto settore, finalmente distinti, sono al loro interno più omogenei, e quindi più capaci di darsi una rappresentanza efficace, di quanto oggi non riesca ad essere il non profit italiano complessivamente inteso. Ne guadagnerebbe tutto il paese, soprattutto in un momento di fortissime tensioni sociali come quello che stiamo vivendo.