In Calabria l’affido è perdente: dopo tempi biblici di permanenza negli istituti, i ragazzi arruolati dalla ‘ndrangheta

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In tema di affido, la Calabria è la Regione delle contraddizioni. La Regione da una parte crede molto in questo strumento di sostegno, visto che riconosce alle famiglie che si prendono cura di bambini provenienti da famiglie in difficoltà il contributo più alto d’Italia (600 euro). Dall’altra non si è mai preoccupata di mettere in pratica le linee guida che pure ha approvato. L’affido rimane una realtà sporadica, presente solo a Reggio Calabria e in parte a Lamezia Terme.

E’ questo il primo dato denunciato in un convegno svoltosi a Reggio Calabria il 26 e il 27 luglio. Mario Nasone, presidente di Agape, associazione impegnata da anni nella promozione dell’accoglienza familiare temporanea, riflette:« Finora l’affido si è sviluppato più per contagio, che per volontà politica».

Secondo Nasone una delle lacune è il fatto che la Calabria resta l’unica Regione a non essersi ancora dotata dei Piani di zona. E questo fa sì che l’affido sia un’ opzione concreta solo nelle città dove i servizi sociali funzionano. Senza dire che nonostante una famiglia su tre viva sotto la soglia di povertà, la Regione per le politiche sociali spende meno di tutte le altre.

Nella due giorni di Reggio sono stati snocciolati situazioni e dati allarmanti. Intanto l’affollamento nelle strutture residenziali, luoghi dove i ragazzi vengono lasciati per tempi spropositati. Non sono rari i casi di ragazzi che vivono per dieci anni in queste strutture, laddove il massimo dovrebbero essere due anni (eventualmente rinnovabili). Così viene negato due volte il loro diritto di essere figlio: prima perché non esistono progetti che agevolino i rapporti dei bambini con la famiglia d’origine, i genitori diventano per i propri figli degli estranei. Secondo perché viene demolita la possibilità per questi minori di essere adottati, qualora la famiglia non sia in grado di occuparsene.

Il dramma noto a tutti è che raggiunta la maggiore età, questi ‘ex bambini in difficoltà’, si ritrovano davanti il nulla. Finito il loro diritto di essere a carico del sistema assistenziale pubblico, devono cavarsela da soli. E com’è facile immaginare, la ‘ndrangheta in Calabria ha gioco facile. Li arruola e li sfrutta.

Il convegno oltre a fotografare la situazione attuale, ha lanciato una proposta. Quella di creare una rete, formata dalle istituzioni, dagli operatori delle comunità locali, dalle Aziende sanitarie provinciali e dalle associazioni impegnate nel settore. Con l’impegno a sottoscrivere un Manifesto programmatico sulla Calabria, sono previste cinque giornate di formazione ( una per ciascuna provincia) già nel prossimo autunno.

Presente al meeting, Dinah Caminiti, responsabile sede Messina di Ai.Bi., ha dichiarato: «La situazione calabrese è fossilizzata sull’affido sine die o sulla permanenza scandalosa di minori in comunità per ben 10 anni. La Calabria è un territorio accogliente, ma bisogna trasformare la generosità dei singoli, in un sistema di buone prassi».