La crisi dell’ affido: a Roma solo 180 famiglie affidatarie

OLYMPUS DIGITAL CAMERANon decolla l’affido, ma sarebbe meglio poter parlare di accoglienza familiare temporanea.

Le cause del ricorso limitato all’affido sono da un lato la poca conoscenza di esso da parte delle famiglie d’origine dei potenziali beneficiari e quindi la loro diffidenza nei confronti dei servizi sociali. Dall’altro le famiglie affidatarie sono spaventate dall’eccessiva durata degli affidi e dalla solitudine in cui spesso ci si trova a fronteggiare situazioni complesse. A questo va aggiunta la mancanza di progetti personalizzati sui minori e sulle rispettive famiglie d’origine quindi la mancanza di chiari obiettivi a cui tutti i convolti nell’esperienza dovrebbero convergere.

Fatto sta che in due anni a livello nazionale le famiglie affidatarie sono diminuite di 700 unità. Il caso di Roma parla da sé. Quest’anno nella capitale sono stati appena 180 gli affidi di minori in famiglie non legate al bambino da legami di parentela. Sono quelli che sulla carta si chiamano affidi ‘eterofamiliari’. Per distinguerli dagli affidi ‘intrafamiliari’, nei quali il bambino accolto in casa da nonni, zii, parenti in generale che nel 2013  a Roma sono stati 408. Notevole il divario con i minori che vivono in comunità educative: 758.

Uno dei motivi che impedisce un’accoglienza familiare a misura di bambino è il frequente ricorso ai contenziosi aperti dei familiari rispetto alle decisioni prese dai tribunali. Il riscontro a questo è in un dato: a Roma solo il 7% degli affidi etero familiari è di tipo consensuale. Lo sottolinea Maurizio Cartolano, responsabile del Cisme (Coordinamento cittadino interventi e servizi per la minore età) di Roma.

Il quale insiste: «Bisognerebbe far conoscere questo strumento, che può davvero aiutare tanti bambini a superare insieme con le loro famiglie momenti di difficoltà: ma per farlo bisognerebbe essere lì dove vivono le famiglie». Cartolano racconta con un certo orgoglio l’ultimo caso seguito dal suo ufficio.

Un padre vedovo, con un lavoro impegnativo e un figlio amatissimo di nove anni. Di fronte all’oggettiva difficoltà di garantire la sua assidua presenza in casa, l’uomo si è rivolto ai servizi sociali. Il bambino è stato affidato a una famiglia con figli che abita nello stesso quartiere. Così il piccolo non ha cambiato scuola e non è saltata la rete di solidarietà che si è creata intorno. Il bambino ha accettato la nuova realtà, il cui successo arriva anche da un prezioso aiuto che offrono le famiglie dei compagni di scuola del piccolo. Non sono pochi i  pomeriggi che il piccolo passa nelle loro case. E questo dona a lui serenità.                                               Osserva Cartolano: «Il consenso è raro. In questo caso la difficoltà a occuparsi del proprio figlio era oggettiva e di tipo logistico».  Cartolano aggiunge: «Se il sistema funzionasse, gli assistenti e i giudici non arriverebbero quando le situazioni sono a un passo dalla cronaca, ma riuscirebbero a intervenire in situazioni ancora gestibili».

Ma certo, occorre ricostruire anche nelle grandi città il concetto di ‘comunità’. L’Open day sull’affido, che Ai.Bi. ha  organizzato sabato 23 novembre, in diverse città, aveva tra i propositi proprio quello di invitare le famiglie ad aprirsi all’accoglienza familiare temporanea anche per poche ore a settimana, aderendo a forme di affido part-time. Per dare serenità a minori che la vita ha già schiaffeggiato.