La crisi dell’adozione internazionale colpita dalla burocrazia

L’appello lanciato da  Ai. Bi. durante la festa della famiglia a Milano. Nel 2006 erano 6000 le famiglie che volevano adottare, nel 2010 sono scese a 3000, stessa cosa per le adozioni nazionali per le quali si è passati da 16.000 a 10.000.Sono 66 gli enti autorizzati e sono troppi, impossibile controllarli tutti. La Germania ne ha 12, la Francia 30

È un grido d’allarme quello lanciato dall’associazione Ai. Bi. che, durante la Fiera della famiglia di Milano, ha presentato la sua campagna a favore delle adozioni internazionali. I dati sono preoccupanti: se nel 2006 erano 6000 le famiglie che volevano adottare, nel 2010 sono scese a 3000, stessa cosa per le adozioni nazionali per le quali si è passati da 16.000 a 10.000. Nel primo semestre di quest’anno si è già verificata una flessione del 20%: “Se continua così le adozioni spariranno del tutto”, spiega Marco Griffini presidente dell’associazione. Il problema oltre che economico è culturale: “La famiglia viene trattata dalle istituzioni come se volesse adottare per puro egoismo, per non parlare del fatto che si sono complicate le procedure. Faccio un esempio, ultimamente una famiglia di Varese ha subito ben 20 colloqui con gli psicologi e 4 ne ha dovuti sostenere la figlia di 8 anni, per capire se voleva una sorellina adottiva”.

Un vero e proprio esame. Come uscirne? “Noi vogliamo passare da una cultura della selezione a una cultura dell’accompagnamento, anche perché, dopo tutti questi esami, una volta che il bambino o la bambina entrano in casa, la famiglia viene lasciata a se stessa“. In questo senso l’associazione ha presentato alla Fiera una proposta di legge che consenta di abbattere i costi: “I 66 enti autorizzati italiani sono troppi, siamo stati bacchettati anche dall’ONU perché è impossibile controllarli tutti, dobbiamo adeguarci a paesi come la Germania che ne ha 12, persino la Francia, che pure ne ha molti, arriva a 30”. Lo scopo è riuscire a creare una convenzione con l’amministrazione pubblica, che imponga un tetto di spesa massimo per ogni adozione (oggi si arriva fino a 30.000 euro), fino ad arrivare all’adozione gratuita per le fasce meno abbienti.

Un secondo punto è rappresentato dall’esigenza che, da vicenda privata, l’adozione diventi un investimento sociale. Così bisognerebbe che le adozioni fossero collocate sotto gli Affari esteri con un commissario apposito in ogni ambasciata. La proposta che però ha fatto più scalpore è quella di aprire ai single: Se non ci sono abbastanza famiglie, perché non dare i bambini a persone anche sole, ad esempio i bambini sopra i sette anni, oppure interessati da particolari problemi? Un buon sistema di avvicinamento è quello delle vacanze estive, come luogo di incontro tra adulto e bambino, utile soprattutto per le adozioni più difficili. Una formula è anche l’adozione del nascituro mutuata dal sistema americano, o la kafala che consente a famiglie musulmane italiane di adottare dai paesi islamici. Oggi ci sono famiglie costrette ad andare nei fine settimana in Africa per vedere i bambini perché non possiamo portarli in Italia. Insomma, una campagna, con spot radio e tv, che faccia conoscere meglio il fenomeno, utile ad abbattere non solo i costi ma anche i tempi di attesa. Soprattutto a contrastare la colpevolizzazione delle famiglie che vogliono adottare, portandole ad essere finalmente viste come una risorsa. 

(Da Repubblica.it, Mondo solidale, Laura Landolfi 4 giugno 2012)