Il nostro corpo spirituale: pensare all’al di qua a partire dall’al di là

sadducei-e-gesuIn occasione della XXXII Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Secondo Libro dei Maccabèi (2Mac 7,1-2.9-14), della Seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (2Ts 2,16-3,5) e del Vangelo secondo Luca (Lc 20,27-38)

 

In questa settimana abbiamo già celebrato la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Il mese di novembre spontaneamente ci spinge al ricordo dei nostri morti. È anche un mese di ‘tramonto’ continuo, perché la luce del giorno diminuisce sempre più e con il buio aumenta il freddo … Tutto sembra suggerirci il pensiero della morte. Ed è un bene che ce lo ricordiamo! Guai a dimenticare questa scomoda inquilina della nostra casa!

Eppure, tutto ciò non basta. La Parola di Dio ci invita fortemente, in questa domenica, ad andare ben oltre il pur istruttivo pensiero della nostra morte.

Il tema centrale o il vertice della Parola di questo giorno è la risurrezione, soprattutto nella prima lettura, dal libro dei Maccabei, e nel Vangelo di Luca.

Il secondo libro dei Maccabei racconta delle persecuzioni subite dagli ebrei che non volevano rinnegare la fede e i costumi dei loro padri, cedendo alla ‘moda’ di chi invece si adattava alle leggi e ai costumi dei greci, che peraltro avevano conquistato e sottomesso la Palestina con la forza delle armi.

Oggi abbiamo ascoltato la storia di una madre, con i suoi sette figli, che viene costretta «dal re» – dal potente di turno – ad andare contro la legge della Torah, mangiando carni proibite.

Ma la risposta di uno di loro, che si fa «interprete di tutti» è molto chiara e netta: «Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».

È una parola molto forte, stupefacente e anche molto bella, tanto più sulla bocca di un giovane.

Ci possono essere delle ragioni, nella vita, per le quali vale la pena di morire! Non si tratta, certo, di ‘cercare la morte’.

Le ragioni per le quali potrebbe valere la pena di morire, anzi, sono proprio le ragioni per le quali vale la pena di vivere. A volte non si può rimanere fedeli a queste, se non accettando la morte. Questo è, precisamente, il martirio.

Il martire non è certo uno che disprezza la vita, né la propria, né quella altrui – i cosiddetti kamikaze sono il contrario dei martiri: sono semplicemente dei crudelissimi e volgari assassini! –.

Il martire, come questi giovani nel libro dei Maccabei, è uno che ama a tal punto il bene che rende preziosa la sua vita che, per questo bene, è perfino disposto a perderla.

Per questi sette figli e la loro madre, questo bene è la Legge di Dio, cioè la sua Parola, forte e impegnativa, che egli aveva donato ai padri, a Mosè, come segno della sua alleanza.

Pian piano, e non da subito, gli ebrei avevano scoperto che questa ‘alleanza’, data nella vita presente, e così preziosa per la vita presente, non poteva essere un dono limitato a questo tempo. Scoprirono così, gli ebrei, questa stupenda ed enigmatica parola: la «risurrezione per la vita», come dice alla fine di questa prima lettura, il quarto figlio, mentre muore straziato dai tormenti della tortura.

E il secondo dice: il re dell’universo …  ci risusciterà a vita nuova ed eterna». È una parola un po’ misteriosa. Risuscitare vuole dire ritornare a vivere, dopo la morte, per sfuggire per sempre alla morte.

Ma noi non abbiamo mai visto nessuno a cui sia successa una cosa così. Forse, oggi, con i progressi straordinari della medicina, capita qualche volta di assistere a casi di persone che, dopo il coma profondo, ad un certo punto si risvegliano! Ma non sono martiri e poi, comunque, prima o poi moriranno anch’essi.

Per questo, ai tempi di Gesù, molti ebrei, anche molto zelanti, non credevano alla risurrezione.

Tra questi, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, c’era il gruppo dei sadducei. Avevano le loro ragioni. Proprio non riuscivano a comprendere come potesse accadere una cosa del genere.

Perciò questi sadducei vanno da Gesù e gli pongono una bella domanda. Sono fedeli, questi sadducei, alla Legge di Mosè e, proprio partendo da questa, raccontano una storia difficile ma non impossibile.

È la vicenda di una donna che, come prescriveva la legge, va in sposa a sette fratelli, uno dietro l’altro, ciascuno dei quali muore senza lasciare figli.

Questa è la domanda con cui i sadducei ‘inchiodano’ Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie»

Ci viene da sorridere, forse, ma la domanda non è affatto stupida.

Chissà quante volte anche noi ci siamo chiesti:” ma, nella vita eterna, nell’al di là, incontrerò di nuovo gli amici, i familiari, e anche quelli che mi hanno fatto del male?”. E così via … possiamo moltiplicare le domande: “come risorgeremo? Giovani, vecchi, malati, con gli acciacchi o in piena forma?”. Ci viene spontaneo pensare l’al di là a partire dall’al di qua.

È proprio qui che ci raggiunge e ci tocca la splendida parola di Gesù.

Gesù ci invita a fare il contrario e cioè a pensare l’al di qua a partire dall’al di là.

Ora, quest’al di là’ della morte, Gesù qui lo descrive con due parola decisive: coloro «che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti … non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio».

Dunque Gesù ci dice che chi risorge per la vita non può più morire, è vivo per sempre, e in questo senso è uguale agli angeli: cioè, è uguale agli angeli non perché sia disincarnato, o puro spirito, ma perché non può più morire. Sarà destinato ad una vita piena, non più minacciata dalla paura di essere perduta. Una vita goduta. Sarà lui a vivere per sempre.

La risurrezione, dunque, non ci fa scomparire in Dio come una goccia si perde nel mare o come un granello di sabbia si perde nella spiaggia.

Sarò proprio io a vivere.

E poi c’è la seconda parola di Gesù: i «figli della risurrezione» saranno «figli di Dio».

Questo ci apre uno squarcio di luce splendida sull’eternità: sarà la gioia di vivere come figli, nella casa del Padre. Ciascuno con la propria storia, la propria identità, con tutto se stesso. Nell’eternità dell’amore di un Padre che ci ama all’infinito …

È per questo che, in modo tranchant, Gesù dice, all’inizio, che i figli della risurrezione «non prendono né moglie né marito». Ma questo non significa che non saranno né uomo né donna, senza differenza, senza sesso, ma che saranno come gli ‘angeli’, perché «non possono più morire»!

Questa parola di Gesù, «non prendono né moglie né marito», si oppone alla parola: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito», che rispondeva alla storiella raccontata da quei sadducei. Questo significa: l’al di là è altro dall’al di qua. Non pensate l’eternità di Dio a partire da questo mondo, perché altrimenti finirete in un mondo di contraddizioni. Fidatevi, dunque, di Dio.

Così dice alla fine Gesù: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Dio dunque, è amante della vita e tutti possono vivere, se lo vogliono, per sua grazia, grazie a lui.

Questa parola di Gesù la possiamo comprendere a fondo solo a partire dalla sua stessa risurrezione:

egli è risorto nel corpo, portando i segni della passione,

ma con un corpo ‘spirituale’,

trasformato nella luce, nella grazia,

nella bellezza dell’Amore che ha vinto la morte,

l’Amore del Padre che lo ama e ci ama come figli!