L’affido? Non può essere una “maschera” dell’adozione

Cristina scrive:

Buongiorno, ho letto la notizia sul vostro sito dove si parla del grande valore dell’affido

Accogliere un bambino in affido è un atto gratuito che ripaga enormemente anche se chi non ha mai compiuto questa forma di accoglienza non può immaginare  ciò che lascia dentro questa esperienza.

Provo un brivido leggendo questo articolo, non di emozione ma di rabbia. Si può “chiedere un figlio in affido”? “Questo significa non dire mai “mio”?

La risposta la danno le interviste riportate: “Non riuscivo ad avere bambini e dunque ho pensato di prenderne in affido”, “lo e mio marito non abbiamo voluto figli”, “Volevo che le mie due bambine imparassero ad accogliere chi ha un handicap sociale”.

Accogliere un Figlio in affido significa non avere altro scopo se non il bisogno (egoistico) di arricchire la propria vita, consapevoli che l’amore che daremo ad un figlio non nostro (e alla sua famiglia in difficoltà) riempirà la nostra vita.

Ha ragione il Giudice Simonetta Matone, spesso la prima motivazione è il desiderio di un figlio; desiderio che non può realizzarsi nell’affido perché i bimbi che accogliamo hanno una mamma e un papà da cui devono tornare. L’affido non può essere maschera dell’adozione, sarebbe causa di dolore per tutti.

E ancora, che l’affido sia un meccanismo “ben oliato” è tutto da dimostrare; i dati da poco pubblicati non mi sembra confermino questa tesi.

Grazie mille

 

Lisa TrasforiniBuongiorno Cristina,

come tutti gli strumenti, l’affido può essere utilizzato in modo più o meno adeguato, in termini tecnici e, per certi aspetti anche emotivi, è un intervento più complesso da gestire di un’adozione o di un collocamento presso comunità o casa famiglia.

La scelta di un progetto di affido prevede una serie di valutazioni e la presenza di risorse precise che ha senso illustrare qui solo a grandi linee: la valutazione delle capacità genitoriali del nucleo di origine al fine di individuare un progetto “sensato” di ripristino delle stesse che coinvolga in rete i Servizi Territoriali piuttosto che Sanitari, l’individuazione di una famiglia disponibile all’accoglienza formata e preparata, consapevole del progetto e delle necessità del bambino, una diagnosi di affidabilità del bambino intesa come una valutazione di opportunità e di adeguatezza rispetto ai suoi bisogni e alle sue risorse e tutto il progetto di interventi riabilitativi di tipo psico-fisico a suo favore, il tutto declinato in una tempistica con obiettivi e cadenze di incontri tra tutti le persone coinvolte che veda il minore al centro. Esistono diversi tipi di affido e la differenza tra flessibilità e confusione è spesso molto sottile.

L’affido fa paura alle persone, “poi te lo portano via”, spesso è vero che chi si avvicina all’affido lo fa con istanze più o meno velatamente adottive, compito dell’operatore è formare e orientare con competenza e chiarezza a ciò che un progetto di affido è veramente, con l’attenzione che il bambino non si debba sentire tra due affetti contrastanti ma che possa allargare la sua prospettiva a due famiglie che lo amano da due punti di vista differenti e con aspettative e attese diverse, il bambino non si deve sentire il responsabile della felicità degli adulti ma colui che l’amore lo riceve.

Agli adulti e agli operatori la responsabilità di gestire attese, aspettative, progetti e soprattutto i propri sentimenti che non si possono “prevedere” ma sui quali con un buon accompagnamento e la predisposizione a riflettere e l’attenzione a mettere al centro il bambino si può intervenire.

 

Un saluto

Lisa Trasforini

Equipe Psicologica di Ai.Bi.