Le adozioni, quel filo spezzato dopo tre anni di battaglie legali

messicoQuesta è una storia di desideri traditi, sogni semplici difficili da realizzare, sentenze di tribunale che contrastano con la legge non scritta dell’anima. E’ anche una storia sbagliata, cinica e bara. In ballo c’è l’aspettativa di un figlio in adozione, con l’impegno economico e affettivo degli aspiranti genitori, il dolore del sogno quasi realizzato che sfuma all’ultimo, la rabbia di chi conduce una battaglia solitaria contro i mulini a vento.

Hanno a che fare con sentimenti forti e una situazione apparentemente inappellabile, Giorgio e Donatella, ma davanti alla sentenza del tribunale messicano che gli nega l’adozione di un bimbo di 8 anni di Guadalajara che avevano conosciuto e benvoluto, hanno deciso di denunciare «assoluta ingiustizia per come si è lavorato a questo caso, contro ogni etica morale e professionale».Ingiustizia secondo la legge dell’anima: sulla carta al momento non ci sono colpevoli, dal punto di vista formale tutto è legale.

Ma iniziamo da capo, quando a maggio 2012 Giorgio e Donatella Giuseppetti di Ascoli Piceno partono per il Messico per conoscere il bimbo che è stato loro assegnato. Ê in un orfanotrofio di Guadalajara, ci passano un mese, si piacciono, il bimbo piange per il distacco dai futuri genitori quando alla sera lo riaccompagnano in stanza. C’è solo un neo: i rapporti tra l’orfanotrofio «Pedacito de cielo» e il Consejo Estatal de Familia di Jalisco, l’organo statale per l’adozione, sono tesi. Due giorni dopo che i coniugi Giuseppetti tornano in Italia scoppia lo scandalo che finisce su tutti i media messicani: l’istituto accusa il Consejo Estatal de Familia e il Dif, organo statale superiore per le adozioni, di favorire quelle all’estero. La contesa nasce proprio dall’adozione a favore di una coppia italiana, di due bambine reclamate da una coppia messicana.

Volano stracci, cade qualche testa, dall’istituto contro il Consejo volano anche accuse di traffico d’organi e bambini. Arriva in questo contesto l’udienza finale per l’adozione: il parere del bambino è dirimente e lui dice al giudice di non voler essere adottato. Un’udienza lampo, mentre il piccolo è ospite di un orfanotrofio impegnato in una battaglia mediatica contro l’adozione in Italia di altre sue due piccole ospiti e dopo che per tutta l’estate i Giuseppetti non riescono a sentire Juan (nome di fantasia).

Tutto avviene nell’impotenza dell’ente italiano a cui gli aspiranti genitori han dato mandato per l’adozione internazionale, l’Aipa. Così la coppia smuove altri canali: un console italiano in Messico, a cui però viene impedito dal Dif di andare all’istituto di Guadalajara, e la commissione adozioni internazionali (Cai) la quale risponde a una lettera dell’avvocato dei coniugi «Abbiamo dato mandato all’ente per l’adozione nel 2008, abbiamo aspettato 3 anni per aver abbinato Juan, abbiamo speso 13mila euro e ora siamo davanti a un ginepraio di ombre in cui nessuno vuol mettere il naso», denuncia Donatella.

La goccia che fa traboccare il vaso e riapre le ferite è una lettera della direttrice dell’orfanotrofio «Pedacito» datata 18 gennaio 2013 che, ad adozione cancellata dal giudice, dopo cinque mesi di silenzio, chiede ai coniugi «Come state? Perché non siete vediti a riprendere il bambino?». Donatella dopo 9 anni che cerca un figlio, di cui tre passati in attesa di un bimbo da prendere dall’altra parte del mondo, a 51 anni, non cela fa più: «Chi controlla gli istituti coi quali lavorano gli enti tramite per l’adozione? Chi tutela le coppie? Ora siamo al paradosso che un orfanotrofio che ha ostacolato l’adozione ci chiede perché non prendiamo il bimbo… Qui ci siamo sentiti dire “quello è un istituto di pazzi, state calmi”.

Troppo spesso si ascoltano di queste storie: l’adozione internazionale talvolta è una truffa morale, seppur non legale, sulle spalle dei bimbi e delle aspettative di coppie che aspettano troppo a lungo. Si capisce che le adozioni internazionali sono legate alle relazioni diplomatiche tra gli stati e a interessi economi locali ma, dice la convenzione dell’Afa. prima di tutto deve venire l’interesse del bimbo». Poi magari c’è pure il sogno di un aspirante genitore all’ultima possibilità, quello per cui Donatella ora dà le carte all’avvocato e non si stacca di dosso un «vissuto di ingiustizia» nonostante tutto il rispetto per la sentenza del tribunale messicano. Perché si sa, le leggi scritte e quelle non scritte non sempre coincidono ma sia le une che le altre, sempre dovrebbero valere.

(Da L’unità 11 febbraio)