Alla sorgente di un impegno che non finisce. Un ricordo di Laura Scotti

A 25 anni dal tragico incidente in cui morì Laura Scotti, indimenticata collaboratrice di Ai.Bi., la collega di allora, e ancora oggi pezzo importante dell’ufficio Adozioni Internazionali, Monica Colombo è andata in Kosovo per vedere le opere attraverso le quali il nome di Laura ancora vive

“Finalmente quello che faccio ha un senso, sai? Voglio che la gente veda, capisca, si renda conto…”. Così annotava Laura Scotti in uno dei suoi quaderni.
Dopo 25 anni, ho voluto andare là dove tutto per lei aveva avuto inizio e purtroppo anche fine.
Il ricordo che ho di Laura è legato alla foto appesa negli uffici di Amici dei Bambini, in cui lei appare con i capelli rossi raccolti in una coda, la camicia gialla e l’immancabile gilet multitasche beige con il vecchio logo verde dell’associazione.

Un viaggio oltre la memoria

Arrivando in aereo a Prishtina 25 anni dopo quel maledetto 12 novembre 1999, ho scrutato le montagne sotto di noi per capire dove l’ATR-42 su cui viaggiava Laura avesse impattato e mi sono chiesta se lei fosse seduta nei sedili di destra oppure di sinistra come lo ero io; mi sono chiesta come fosse vestita e soprattutto mi sono domandata se avesse percepito prima dello schianto che qualcosa non andava.
Ma quel giorno era avvolto nella nebbia, presente fino a bassa quota, io invece arrivavo in un giorno splendente di sole autunnale.
Avevo conosciuto Laura durante il suo periodo di formazione a Milano, prima che si trasferisse a lavorare nell’ufficio Ai.Bi. di Roma. Quel giorno di novembre anche la pianura padana era appesantita da un’umida coltre di nebbia, seduta alla scrivania non riuscivo a vedere neppure gli alberi fuori dalla finestra. Poco dopo le 10 del mattino abbiamo avuto la terribile notizia che l’aereo predisposto dal PAM (Programma Alimentare Mondiale), su cui viaggiava Laura insieme ad altri 23 volontari di varie organizzazioni, era scomparso dai radar, dopo lunghe ore di attesa sofferta e speranzosa, abbiamo avuto la conferma dello schianto e del fatto che nessuna delle persone a bordo si era salvata.
Era la ventiduesima volta in soli sei mesi che Laura si recava in Kosovo: cosa la spingeva ad andare in un Paese sconosciuto ai più e martoriato dalla guerra appena conclusa?
Io ho trovato un Paese probabilmente irriconoscibile rispetto a quello che conosceva Laura. In 25 anni, infatti, molto è stato fatto a livello di infrastrutture, ma l’amore di Laura per quel Paese andava oltre l’aspetto esteriore, era amore per le persone che là aveva incontrato, soprattutto per i bambini che aveva conosciuto e per i quali sentiva di doversi impegnare senza risparmio, per poter dare loro un’occasione di futuro, oltre gli orrori della guerra.
Penso di aver ritrovato quegli sguardi e quei sorrisi nei volti delle persone in cui mi sono imbattuta, dal cameriere al tassista, dalla signora al mercato alla suora del monastero. Volti giovani (il Kosovo ha una popolazione con l’età media più bassa d’Europa). Volti sorridenti e amichevoli, come quello di Jetmir Berisha ex studente beneficiario di una borsa di studio offerta dalla famiglia Scotti, che oggi è il Responsabile dei Servizi Ecologici della Municipalità e che mi accompagna a visitare la scuola intitolata a Laura nel villaggio di Grabovc, poco distante dalla capitale.

Nella scuola “di Laura”

Monica Colombo nella scuola “Laura Scotti”, con Jetmir Berisha, ex studente beneficiario di una borsa di studio offerta dalla famiglia Scotti, e l’attuale direttore Gezim Berisha

Incontro anche l’attuale direttore della scuola Gezim Berisha, insegnante di arte, colui che ha disegnato Laura, partendo da una sua fotografia e ne ha fatto un ritratto da appendere al centro della hall di ingresso, dove il 12 novembre di ogni anno un centinaio di alunni si riunisce per commemorare Laura. Il suo desiderio sarebbe quello di sostituire quel disegno con un busto di Laura, per renderle maggiormente onore. Entrambi mi raccontano, infatti, che Laura è nota a tutti gli studenti e alle loro famiglie e nel villaggio tutti sanno perché la scuola ha questo nome fuori dal comune. Anche chi non ha potuto incontrarla di persona conosce la sua storia e ha sentito parlare della sua determinazione nel volere la scuola, come segno tangibile della possibilità per i ragazzi di vivere in armonia e realizzare i propri sogni.
Il mio brevissimo viaggio mirava a trovare una risposta, voleva chiudere una linea spezzata, ricongiungere l’inizio con la fine, abbracciando tutto ciò che conteneva. E allora mi sono messa a cercare indizi, a studiare la storia del Kosovo, a scavare nelle parole, che per me hanno sempre un senso.

La risposta è nella pace

Ho scoperto che nella Costituzione del Kosovo si dichiara che il Kosovo è “lo stato di tutti i suoi cittadini”, che le festività nazionali onorano tutte e tre le religioni presenti, si festeggiano l’inizio e la fine del Ramadan, così come il Natale e la Pasqua cattoliche ed ortodosse, ho scoperto che sono stati istituiti giorni speciali di festa per i serbi, gli ashkalli, gli zingari, i turchi, i gorani e gli albanesi e penso che tutto questo avrebbe reso felice Laura.
Ho anche scoperto che il nome della capitale Prishtina, molto probabilmente, deriva da un termine slavo antico che significa “sorgente“.
Prishtina era stata per Laura la sorgente del suo impegno civile e sociale, quella che dava un senso al suo fare e Laura è stata ed è ancora la sorgente di vita buona per tanti bambini, ragazzi e per le loro famiglie. Sorgente anche per noi che, rileggendo la sua storia, possiamo renderci conto che le guerre non portano a nulla di buono e che dobbiamo sempre impegnarci per la pace e la fratellanza.

Monica Colombo