il regalo di Natale ai suoi tre figli

Adozione. Treviso, lo sfogo di una mamma adottiva: “Durante la ricreazione piangeva perché veniva messo in punizione da solo in un angolo e le insegnanti vietavano ai compagni di consolarlo”

L’esperienza-testimonianza di una madre trevigiana che ha adottato un bambino in Colombia, raccontata con un post Facebook indirizzato al presidente di Ai.Bi.

E’ la conferma che le istituzioni dovranno rivedere i meccanismi e i sostegni legati all’adozione internazionale, nella prospettiva della gratuità per una scelta di amore e giustizia nei confronti di un bambino abbandonato

Un sogno nel cuore, il desiderio che dopo 6 anni di attesa diventa realtà: adottare un bambino abbandonato. Un percorso a ostacoli fin dalle curiose domande delle assistenti sociali, poi acuito dal tempo che passa e dalla mutata realtà economica.

Quando finalmente lei e il marito riescono ad abbracciare il proprio figlio e a portarlo in Italia, ecco i problemi sul lavoro, con capi indifferenti alla grandezza della scelta compiuta, affiancati da quelli economici per un mucchio di necessità, in attesa del rimborso per le spese di adozione sostenute che tarda ad arrivare, alla diffidenza di tante componenti sociali che li circondano, alle ingiustizie subite in assenza di strutture, strumenti e supporti in grado di sostenerli, guidarli, accompagnarli. Siamo a Treviso, nel ‘ricco’ nord-est. E quello postato da questa madre sul profilo Facebook del Presidente di Ai.Bi., Marco Griffini, è un resoconto ‘esemplare’ per narrare la vicenda di una coppia adottiva che fa questa scelta oggi in Italia. Fino a denunciare come “il calo demografico e il picco verso il basso delle adozioni in Italia sicuramente sono dovuti alla mancanza di un adeguato welfare che sostenga la famiglia, soprattutto quella appartenente alla classe medio-bassa“. Il frutto di questa ‘miopia’ politico-sociale sono “bimbi straordinari, genitori spesso stanchi ma che non mollano, ingiustizia per questa meravigliosa realtà“.

Ecco la sua testimonianza.

Buonasera, la seguo su Twitter e la sua presenza, insieme a poche altre è rassicurante per il pensiero che esprime e per le iniziative che propone.
Il calo demografico e il picco verso il basso delle adozioni in Italia sicuramente sono dovuti alla mancanza di un adeguato welfare che sostenga la famiglia, soprattutto quella appartenente alla classe medio-bassa, che purtroppo questi anni di crisi economica hanno rimpinguato significativamente.
La mia esperienza è di genitore adottivo. Dopo 6 anni di attesa, devo dire anche con periodi di vuoto assoluto tra un passaggio burocratico e l’altro, siamo arrivati a conoscere nostro figlio. Tempi lunghi, troppo lunghi, significativi anche per una situazione familiare, sociale ed economica che si modifica. Mi fa sorridere quando penso alle domande delle assistenti sociali tipo “avete appoggi familiari?” o “qual è il vostro reddito?” o “qual è il vostro lavoro?” (le stesse che poi pone l’ente adottivo nel suo studio di coppia).
Gli anni passano per tutti, per i nonni e anche per i cuginetti che nel frattempo sono diventati cuginoni e hanno mille impegni con amici, scuola, sport.  La sfortuna poi magari vuole che la zia a casa dal lavoro e disposta a dedicare del tempo al nipote si trovi in condizioni di dover ricominciare a riprendere a lavorare.
Un buon stipendio c’è , certo! E anche un lavoro sicuro, situazione consolidata da anni… Peccato che poi arrivi una crisi che fa barcollare il posto di uno dei due, che il titolare prima di partire per andare a prendere tuo figlio dica che forse, tra qualche mese si dovrà licenziare qualcuno e quel qualcuno sei tu, perché per adottare hai chiesto il TFR anticipatamente e quindi sei a costo 0.
Non vediamo l’ora di abbracciare nostro figlio, ormai questo conta, e conta che poi qualche soldo tornerà indietro… Non prevediamo che qualcuno al governo pagato per essere a capo della Commissione per le Adozioni Internazionali si dedichi ad altro e si dimentichi di stanziare le somme per i rimborsi (oltre a creare anche altri gravi danni).
Abbiamo scelto con attenzione il Paese nel quale adottare, cercando di valutare le possibilità in ordine di tempi di permanenza all’estero, possibilità economiche, tempi di attesa, informazioni e notizie fornite sul bambino… Poi quando arriviamo nella terra di nostro figlio, spaesato, stanco per le ore di viaggio, scopriamo che non ci aspetta il nostro legale, a cui abbiamo dato la nostra delega presso un notaio pagato con i nostri soldi… Nel pullman che ci porta in albergo firmiamo una delega ad un legale, contattato da quello nostro rimasto in Italia, che si è occupato di pratiche adottive una volta per degli Svedesi e che parla con noi attraverso il suo interprete perché non comprende l’italiano.
Per farla molto breve, siamo stati in Colombia per tre mesi, e oltre che inveire con l’avvocato in Italia via Skype non potevamo fare nulla se non sperare di ritrovare il posto di lavoro al rientro, anche perché la somma che pensavamo di spendere era quasi raddoppiata.
Quando torni a casa tiri un sospiro di sollievo, speri di goderti un meraviglioso periodo con il bambino che hai sempre desiderato ma… Accidenti! Ha 7 anni e mezzo e per te è un piccolo puffetto spaurito ma alla maggior parte spaventa evidentemente... Anche perché scuretto diciamo. Negli anni abbiamo portato tutine all’ospedale per salutare i bimbi degli amici e ora… “sì abbiamo molti amici” avevamo detto quella volta alle assistenti sociali. Ma dove sono?
Avremmo voluto organizzare una bella festa per nostro figlio, per dargli un bell’abbraccio da parte di tutti, quando si fosse più ambientato, ma le nostre tasche erano vuote e con la scuola iniziò un viaggio assurdo nell’incomprensibile umano.
Le linee guida erano appena uscite e purtroppo non ne sapevamo nulla, ma se ne tenevano ben lontane anche le scuole (cosa che peraltro qui a Treviso fanno tuttora). Abbiamo portato pazienza con educazione nei confronti degli atteggiamenti poco corretti delle insegnanti. Nostro figlio ha iniziato la scuola un mese e mezzo dopo il suo arrivo in Italia, ha imparato a leggere e a scrivere in Italiano durante la nostra permanenza in Colombia ma non era scolarizzato lì. Si è trovato in seconda elementare e chiedevamo solo comprensione per il suo svantaggio culturale. Per noi era fondamentale che la sua debole autostima crescesse e che socializzasse con altri bambini. Dopo vari inutili colloqui, quando siamo venuti a sapere che durante la ricreazione piangeva perché veniva messo in punizione da solo in un angolo e che le insegnanti vietavano ai compagni di consolarlo, anche quando succedeva in classe in momenti di sconforto, ci siamo messi alla ricerca di un’altra scuola. Ardua impresa  costata, purtroppo, tempo prezioso per il bambino e serenità per noi al lavoro a causa dei permessi per colloqui.
Alla fine della terza inizia l’inserimento nella nuova scuola, sembra bene anche se non l’ideale, ma dobbiamo accontentarci perché di linee guida non se ne parla in tutta la provincia, la scuola privata è al di sopra delle nostre possibilità.
Il lavoro? Uno dei due si è salvato, l’altro ‘beneficia’ ancora di mobbing da parte dei superiori e di qualche collega, viene descritto come inaffidabile per le assenze (N. B. congedi parentali ancora da utilizzare, per fortuna fruibili entro l’ottavo anno dall’entrata in famiglia) e nonostante la richiesta di spostamento ad altro servizio, formalmente accolta, viene utilizzato come jolly lì ‘in punizione’.
A Treviso non c’è un’associazione che parli di adozione, non c’è una rete di supporto per le famiglie adottive, non c’è un’educazione all’adozione, mancano sostegni soprattutto da parte delle istituzioni. Con la scuola, col sostegno, con lo psicologo, bisogna gestire tutto coi soldi. Per risolvere un problema alla pelle di nostro figlio, dopo un mese di diagnosi sbagliate, al pronto soccorso i medici hanno sentenziato: “ci vorrebbe un’altra laurea per questo tipo di pelle” quando poi il dermatologo da 150 euro ha guardato occhi, labbra e unghie e in due secondi ci ha dato il responso. Sembra che funzioni tutto così, ma molte famiglie non ce la fanno a sostenere continuamente spese (e per un bambino adottato spesso succede) e questo malessere si respira, soprattutto quando non hai neanche appoggi familiari e tutto il peso della gestione è sulle spalle dei genitori.
Bimbi straordinari, genitori spesso stanchi ma che non mollano, ingiustizia per questa meravigliosa realtà.