Una volta si chiamava infanticidio, ora aborto «post-nascita»

Sulla rivista scientifica internazionale The Journal of Medical Ethics, i due studiosi italiani Alberto Giubilini e Francesca Minerva hanno proposto la seguente idea: stabilito che un feto è come un neonato (non ancora persona), poiché l’aborto è legale anche per i feti sani potrebbe esserlo pure dopo la nascita, per gli stessi motivi per cui lo è prima: cioè anche quando non c’è disabilità, ma nell’interesse della madre e della famiglia.

Non è un infanticidio – asseriscono i due autori – ma un aborto post-nascita. L’articolo ha suscitato orrore e polemiche, la rivista è stata sommersa da proteste e l’editore ha avvertito la necessità di difendersi, spiegando che non ci sono vere novità: illustri bioeticisti ritengono lecito l’infanticidio, e d’altra parte il giornale espone idee, senza dare patenti di verità.

In effetti la difesa dell’infanticidio non è nuova nel settore. L’editore stesso, il docente universitario Julian Savulescu, è noto per sostenere tesi analoghe: per esempio considera eugenetico l’aborto tardivo nei confronti dei disabili, lecito invece se fatto nell’interesse materno e familiare, e quindi non solo sui disabili ma anche sui sani (su tutti, equamente). È poi favorevole alla selezione del sesso dei figli con la diagnosi pre-impianto degli embrioni, e ha argomentato anche a favore della «beneficienza procreativa»: le coppie, sempre con la diagnosi pre-impianto, dovrebbero selezionare il bambino fra quelli che potrebbero avere, mettendo al mondo chi sembra avere la migliore aspettativa di vita.

Argomenti pubblicati e dibattuti in prestigiose sedi accademiche, e la fama raggiunta gli ha regalato importanti collaborazioni con università italiane come «Vita e Salute» del San Raffaele a Milano: nell’ambito del sesto programma quadro, con alcuni docenti della facoltà di Filosofia, Savulescu ha partecipato al progetto «Enhance», sul cosiddetto «miglioramento» degli esseri umani con le nuove tecnologie. E i suoi scritti in questo settore sono coerenti con il resto del suo pensiero.

È sorprendente l’ondata di indignazione suscitata dall’articolo. In fondo, purtroppo, si parla di qualcosa di già visto: basta ricordare le polemiche, periodicamente ricorrenti, sulla rianimazione dei neonati sopravvissuti agli aborti.

Stavolta in Italia, però, la reazione è stata pesante, probabilmente perché gli autori sono dei connazionali. Non gente lontana, ma laureati e dottori in due tra le nostre migliori università: Bologna e Milano. La teorizzazione dell’infanticidio in Italia fa ancora orrore (e meno male). A fare scalpore non dovrebbe essere solo i contenuti del saggio, ma anche il prestigio accademico di cui godono certe argomentazioni, e le carriere a cui si accompagnano. Nessun ateneo italiano (o europeo) si farebbe vanto di lavorare in ambito storico con negazionisti, mentre la collaborazione con teorici dell’infanticidio viene riconosciuta e gratificata nell’accademia.

(Da L’Avvenire, Assuntina Morresi 1 febbraio 2012)