Utero in affitto: un reato per la legge italiana, ma non per certi magistrati…

Aspiranti genitori assolti “in mancanza di apposita norma incriminatrice”… così si perde la fiducia nello Stato

L’utero in affitto, in Italia, è un reato per la legge. Ma, evidentemente, la legge non basta per certi magistrati, che pure la legge e la giustizia dovrebbero amministrarle… Con la sentenza 1.549 del 2017, per esempio, il Tribunale di Bologna ha scelto di non punire i genitori che hanno fatto ricorso, in una clinica, alla surrogazione. “La condotta di approfittamento della pratica della maternità surrogata – è scritto nella sentenza, riportata dal quotidiano Avvenirein qualità di cliente non è punibile in mancanza di apposita norma incriminatrice“. Le fattispecie di reato previste dalle normative vigenti (la legge 40 del 2004 e, in particolare, l’articolo 12, comma 6), insomma, non sarebbero applicabili ai genitori “d’intenzione”.

“Su questo tema specifico, però – spiega Avvenirela Cassazione sembra pensarla diversamente, anche se poi – nella sostanza – ritiene non incriminabili gli italiani che hanno affittato un grembo all’estero in uno Stato che consente la pratica. Per arrivare a tale conclusione la Suprema Corte argomenta su più tecnicismi giuridici, ma questa è la sostanza: per punire in Italia chi sia espatriato al solo fine di servirsi della maternità surrogata, sintetizza la sentenza 13.525 del 2016, è necessario che la pratica sia considerata reato anche nel Paese in cui viene messa in atto. La Cassazione spiega di essere giunta a questa decisione per via di alcune ‘incertezze di interpretazione giurisprudenziale’ che, nel dubbio, dovrebbero far propendere per l’assoluzione. Vi è infatti una corrente piuttosto ‘aperturista’ secondo cui chi fa assemblare un bimbo all’estero potrebbe non avere la consapevolezza del carattere delittuoso della sua scelta. Ci troveremmo in quello che legge definisce ‘errore inevitabile sul precetto’, contesto nel quale non può essere irrogata alcuna sanzione”.

In presenza di un simile caos, riporta ancora Avvenire “alcune Procure hanno provato a sostenere la rilevanza penale di un altro atto connesso alla surrogazione di maternità: il tentativo da parte della coppia di ottenere nel proprio Comune la trascrizione dell’atto di nascita estero, nel quale entrambi i ‘committenti’ sono indicati come genitori (quando in realtà così non è). Il reato in questione sarebbe quello previsto e punito dall’articolo 567 del Codice penale, secondo cui ‘si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità'”. Anche in questo caso, però, sono arrivate le assoluzioni. Per esempio con la sentenza della 31.409 della Cassazione di quest’anno, che ha stabilito che “ai fini della configurabilità del reato è necessaria un’attività materiale di alterazione di stato che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza”. Una sentenza ideologica? Chissà. Certo è che se le tutele normative attuali non bastano, forse, occorrerebbe rafforzarle.