Variante Omicron. Prima e seconda dose vaccino poco efficaci, con la terza si arriva all’80% di protezione

Secondo uno studio dell’Imperial College di Londra la variante Omicron infetta 5 volte di più della Delta. Due vaccini efficaci solo al 20%, ma con la dose booster la copertura risale fino all’80%. I sintomi sono come un forte raffreddore

È la variante Omicron lo spauracchio che, oggi, tiene in allerta il mondo. Nel contesto di una pandemia che riserva continui cambi di scenari, da qualche tempo la nuova mutazione del virus, inizialmente individuata in Sud Africa ma ormai prevalente quasi dappertutto, è al centro di studi e analisi per capirne la pericolosità, il potenziale di contagio e, soprattutto, quando le armi che abbiamo sviluppato finora (leggi vaccini) siano efficaci.

Variante Omicron 5,4 volte più infettiva della Delta

Uno degli studi più recenti (ancora non sottoposto a revisione) arriva, oggi, dall’Imperial College di Londra e viene riportato dettagliatamente dal Corriere della Sera. Secondo i ricercatori: “Non ci sono segnali che la nuova variante sia più mite di Delta” e la sua capacità di reinfezione è 5,4 volte maggiore. “Ciò significa che la protezione contro la reinfezione dalla nuova variante offerta da un’infezione passata può arrivare solo fino al 19%”. Poco meglio fanno i vaccini, che, se fermi alle prime due dosi, offrono una copertura piuttosto bassa, intorno al 20%. Decisamente meglio vanno le cose con la terza dose, che fa risalire la protezione contro Omicron tra il 50 e l’80%.
Le notizie, insomma, non sembrerebbero troppo positive, ma va detto che, oltre al fatto di non essere stato ancora stato sottoposto a revisione, lo studio si basa su una quantità di dati non così rilevante, almeno per quando riguarda la variante Omicron.

Variante Omicron: i dati sono ancora da prendere con tutte le cautele

Dei 333.000 casi analizzati per lo studio, nel periodo dal 29 novembre all’11 dicembre, solo 1.846 avevano una diagnosi confermata di variante Omicron, contro i 122.062 di Delta.
Inoltre, come sottolineato dal dottor Clive Dix, ex presidente della task force sui vaccini del Regno Unito, in una intervista della Reuters citata dal Corriere della Sera: “Le conclusioni tratte si basano su ipotesi, ma non disponiamo ancora di dati sufficienti. Ad esempio, non abbiamo dati sulla risposta immunitaria cellulare (linfociti B e T, n.d.r.) che probabilmente sta guidando l’efficacia dei vaccini”.
La capacità di eludere l’immunità, insomma, va ancora dimostrata e se, da una parte, alcuni studi come quello dell’Imperal College sembrano indicare una diminuzione sostanziale della copertura (per le meno con le prima due dosi di vaccino), dall’altra si possono empiricamente contare i numeri dei ricoveri, che al momento rimangono per fortuna ancora molto limitati rispetto alle infezioni.
Anche i sintomi sembrerebbero diversi rispetto al “primo Covid”: in Inghilterra, dove negli ultimi giorni si è arrivati a 90 mila casi al giorno, si assiste a una sintomatologia più lieve, molto più simili al raffreddore. Secondo un altro studio di Singapore, infatti, la variante Omicron si replicherebbe molto più nei bronchi che non nei polmoni, risultando, quindi, meno peicolosa. Vero è, dall’altro lato, che proprio questi sintomi più lievi, uniti alla stagione invernale tipicamente favorevole all’influenza stagionale, porta a una maggiore difficoltà nel ditinguere i casi di Covid dai raffreddori. Ecco perché, oltre ai vaccini, timangono fondamentali i tamponi molecolari per fugare eventuali dubbi.
Anche in questo caso, comunque, è bene ricordare quanto gli studi siano ancora all’inizio: solo con il tempo e con l’aumento del campione su cui eseguirli, queste ipotesi potranno essere confermate o meno. La battaglia, dei numeri ma, più che altro, della scienza, ancora una volta continua.