1626 bambini con meno di 6 anni vivono in comunità educative: chi di noi non li accoglierebbe?

Probabilmente moltissime famiglie li accoglierebbero senza molti problemi: allora perché sono assistiti in comunità educative? I dati infatti non danno adito a dubbi: l’11% dei minori  presenti al 31/12/2010 nei presidi residenziali aveva tra 0 e i 5 anni, 1.626 bambini appunto. (Dati tratti dal quaderno della Ricerca sociale 19, Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine al 31 Dicembre 2010, Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, pubblicato a Novembre 2012)

Eppure secondo la 184 dell’83 modificata con la legge 149/2001 all’ art 2, comma 4, i minori devono essere accolti presso una famiglia e, “ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità  di tipo familiare”.

Ma quali sono le comunità di tipo familiare? Quelle “caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”(art.2, comma 4) . E cosa se non una Casa Famiglia gestita  da una vera coppia genitoriale?

Che ci fanno quindi questi bambini in comunità educative, gestite indubbiamente da ottimi operatori, ma che nulla hanno a che vedere con qualcosa di ” analogo ” alle relazioni familiari?

In sostanza il legislatore ha voluto con forza affermare che un bambino, soprattutto se in tenerissima età, deve essere non solo assistito ( come avviene nelle Comunità Educative), ma anche accolto; e l’accoglienza può essere donata solamente da un famiglia.

C’è infatti un  aspetto preoccupante che riguarda l’assistenza dei minori al di sotto dei 6 anni.
Secondo i dati pubblicati dal “Journal of Child Psichology and Psichiatry” relativamente  ad alcune meta-analisi svolte in i 27 paesi su 3.000 bambini adottati dai ricercatori (IJzendoorn & Femmie) del “Centro studi sulla famiglia e sul bambino” della Leiden University (Olanda, 2006), la privazione di un ambiente familiare, soprattutto nei primi anni di vita di
un bambino, avrebbe drammatiche conseguenze sulla sua crescita, principalmente in relazione allo sviluppo psicofisico.

La prof.ssa Rosa Regina Rosnati, docente presso la facoltà di psicologia dell’adozione e dell’affido all’Università Cattolica di Milano,  commentando tali dati durante la Conferenza sulla Famiglia del 2010, conclude che, per ogni anno passato fuori da una famiglia ( cioè in una comunità educativa) il minore accumulerebbe un ritardo evolutivo di 3 mesi .

A questo proposito il manifesto di Ai.Bi. sull’affido, che sarà presentato il prossimo 20 Dicembre a Milano, in occasione dell’incontro “Il collasso economico del sistema di accoglienza: Affido contro Comunità.
 Ipotesi di lavoro e di gestione”, propone una serie di soluzioni, tra cui il riconoscimento giuridico delle Case Famiglia, per garantire anche ai minori
fuori famiglia un futuro più a misura di bambino.