Adozione. Idonei solo all’adozione internazionale, ma non alla nazionale. Perché?

Il caso di una coppia ritenuta idonea solo all’Adozione Internazionale. Un segnale preoccupante: l’Adozione Internazionale, quindi, viene ritenuta dai Servizi un ripiego?

La domanda posta dalla coppia è molto interessante, in quanto ci pone un quesito riguardo al contenuto, ma anche riguardo alla relazione. Essi chiedono il perché della scelta di un’idoneità parziale. Ma pongono la domanda all’Ente, come se non vi fosse stato spazio nella relazione con i Servizi per condividere il senso di una scelta e analizzare il processo che ha portato a questo esito.

Come psicologa esperta in materia di adozione posso solo effettuare ipotesi ed inferire i processi di pensiero che siano alla base di alcune scelte.

Ciò che posso immaginare è che la scelta di percorrere l’iter dell’adozione internazionale e non quello dell’adozione nazionale per diventare genitori, possa nascondere il desiderio di evitare due fattori principali: a) il rischio giuridico, b) la minaccia di una famiglia d’origine biologica reale vissuta come rischio insostenibile.

Adozione Internazionale sì, adozione nazionale no…

Dal punto di vista psicologico l’evitamento come tentativo di non confrontarsi o di risolvere delle difficoltà è un’operazione molto rischiosa e costituisce una soluzione illusoria. Questo sia quando viene messo in atto dalla coppia, sia quando viene agito collusivamente dai Servizi.

Quando la coppia definisce in maniera molto rigida e parcellizzata “ciò che sono disposti ad accogliere e cosa no” questo ci indica una modalità di funzionamento psichico ed emotivo/difensivo basato sulla discontinuità, e ci fa nascere molti dubbi sulla capacità successiva di garantire al bambino una continuità di esperienza di vita nell’adozione. Se questa modalità di funzionamento viene avallata o attuata dagli operatori stessi (quando scelgono “Adozione Internazionale si – Adozione Nazionale no”) si incoraggia un funzionamento orientato alla discontinuità ed un approccio basato sulla semplificazione di realtà complesse, nell’illusione così di poterle meglio gestire.

Il rifiuto dell’idoneità all’adozione nazionale potrebbe essere un modo per evitare alla coppia di doversi confrontare con il rischio giuridico?

Se questa fosse la ratio, potrebbe purtroppo costituire un fattore di rischio di fallimento adottivo. Si tratta di una sorta di scorciatoia, che non fa altro che rimandare i problemi o le questioni non sufficientemente affrontate, lavorate, sciolte durante lo studio di coppia da parte dei Servizi.

Può accadere ingenuamente di pensare che una famiglia d’origine biologica rimasta in un Paese straniero spazialmente lontano, possa costituire una minaccia più limitata per la nuova famiglia adottiva. Questo pensiero presuppone un implicito che non considera sufficientemente l’importanza della famiglia interna e interiorizzata.

Questa sottovalutazione rende la coppia impreparata a confrontarsi con il tema delle origini, sia che il bambino lo espliciterà, sia che non lo espliciterà. Anzi, è possibile che il bambino possa inconsciamente percepire quanto sia minaccioso per i genitori adottivi il fantasma delle origini, con la conseguenza di precludersi la possibilità di integrare adeguatamente passato – presente – futuro in un sé armonico e coerente.

Inoltre, l’eventuale paura da parte dei genitori adottivi di una famiglia biologica che possa “riprendersi il bambino”, ci fa chiedere se la coppia adottiva abbia essa stessa la fantasia di “essersi impossessata del figlio di altri”, tradendo una visione adultocentrica, una difficoltà di legittimazione, forse legata ad un lutto della mancata procreazione non del tutto risolto.

Può accadere, altrettanto ingenuamente, di pensare che proteggendo i genitori dal rischio giuridico, tipico delle adozioni nazionali, si eviti loro di confrontarsi con un’esperienza che non si sentono in grado di affrontare. Anche questa posizione assume un implicito, ovvero che si possa risolvere una fragilità evitando di affrontarla. Accogliere il rischio giuridico, implica la capacità di stare a contatto con l’incertezza e l’imprevisto. Se si percepisse, la coppia fragile in questo ambito, si potrebbe supporre di aggirarlo optando per la sola adozione internazionale. Ma questa è una falsa soluzione, in quanto l’unica strada sensata sarebbe quella di lavorare con la coppia per sviluppare queste abilità. L’adozione, infatti, presenta in sé alti livelli di complessità, imprevedibilità, non controllabilità. Pertanto, se non si lavora su queste dimensioni, si potrà aprire una crisi adottiva di fronte al primo imprevisto o ad elementi che non rientrano nel quadro atteso o immaginato.

Sappiamo che un bambino adottivo traumatizzato ha una finestra di tolleranza emotiva più assottigliata, potrebbe quindi essere iper-reattivo agli stimoli o presentare comportamenti eccessivi leggendo la realtà in maniera distorta o minacciosa, in quanto rimanda ai traumi vissuti. Se la coppia non è sufficientemente pronta a gestire situazioni simili per loro inattese, ma prevedibili in ambito adottivo, e va essa stessa incontro alla disregolazione emotiva di fronte agli stress e alle difficoltà, dobbiamo chiederci se possa essere una risorsa per un bambino. Si tratta quindi da parte dei Servizi di esplorare a fondo queste dimensioni e assumersi la responsabilità anche di segnalare una non idoneità, piuttosto che aggirare l’ostacolo facendo scelte semplici e semplicistiche.

  Monica Tomassoni – psicologa Ai.Bi. esperta in materia di adozione