Adozione Internazionale in crisi. Un percorso (non a lieto fine) verso l’adozione internazionale (7)

Nuova puntata dell’inchiesta di Ai.Bi. sull’Adozione Internazionale: in una la lunga lettera una coppia racconta, come, dopo tante sofferenze, abbia visto sfumare il proprio desiderio di famiglia

L’inchiesta sull’Adozione Internazionale portata avanti da AiBiNews sta suscitando sempre più interesse e sta raccogliendo sempre più racconti di coppie che stanno affrontando (o hanno affrontato) percorsi adottivi lunghi, difficili, molto spesso incomprensibili nelle loro dinamiche e frustranti. Perché, in questo cammino, ogni intoppo è un ostacolo che viene posto non tanto verso il “semplice” raggiungimento di un obiettivo, ma verso il compimento di una vocazione e la soddisfazione di un diritto: quello di ogni bambino di essere figlio.

Lo racconta molto bene la lunga lettera che pubblichiamo sotto. Quella di una coppia che, dopo tante sofferenze, ha visto sfumare il proprio desiderio di famiglia.

Chiunque può continuare a mandare la propria testimonianza all’indirizzo ufficiostampa@aibi.it.
Per rispetto dell’anonimato, la redazione ha scelto di non pubblicare i nominativi dei protagonisti così come di Tribunali e servizi sociali coinvolti, pur avendo preso nota di tutti i dati comunicati. Ogni lettera (firmata) viene segnalata, mantenendo l’anonimato, alla Ministra Roccella, in quanto titolare del Ministero della Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, nonché Presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali.
Le altre puntate dell’inchiesta si trovano qui
prima puntata
seconda puntata
terza puntata
quarta puntata
quinta puntata
sesta puntata

Un percorso (non a lieto fine) verso l’adozione internazionale

Buongiorno,

volevo testimoniare il nostro percorso (non a lieto fine) verso l’adozione internazionale, non è recentissimo, ma volevo raccontarlo.

Allora, dopo il matrimonio come purtroppo succede ad altre coppie i figli non arrivavano, facciamo quindi tutti gli esami necessari che certificano la sterilità, per cui veniamo indirizzati verso un centro di procreazione assista pubblico nella nostra provincia.

Esami viaggi e attese, e dopo all’incirca un anno e mezzo, nel gennaio del 2012, siamo stati ammessi per il primo ciclo di inseminazione artificiale(ICSI), che è stato negativo. Lista di attesa lunga per cui facciamo il secondo tentativo dopo un anno esatto (ci dicono che abbiamo tempo perché mia moglie è ancora giovane…31 anni) e con il secondo tentativo test Beta positivo, ovviamente felicissimi ma dopo poche settimane la gravidanza si interrompe.

Terzo tentativo previsto per gennaio 2014, ma nel novembre del 2013 mia moglie si sente un nodulo al seno;

La lotta contro un brutto male

Dopo gli accertamenti diagnosi di tumore HER2 positivo al seno sinistro con coinvolgimento linfonodale, per gli oncologi abbastanza aggressivo. Ci viene da dubitare se il brutto male sia anche dovuto alla stimolazione ormonale che si è sottoposta mia moglie per i cicli di procreazione, ma i medici ci rassicurano perché scarsamente ormone-dipendente, anche se la stimolazione può aver influito nel nutrire e quindi nel rapido sviluppo della malattia.

Infatti, in breve tempo il nodulo diventa voluminoso, mia moglie viene sottoposta a chemioterapia neoadiuvante per cercare di diminuire il nodulo.

Mesi difficili di chemio con conseguenti effetti collaterali, ma ringraziando il cielo risponde bene alle cure, e poi successivamente viene sottoposta ad intervento chirurgico e radioterapia.

Dopo neanche due anni recidiva sul seno destro, carcinoma per fortuna non infiltrante comunque seguito da intervento e radioterapia.

Seguono mesi ed anni passati con tanti controlli e tanta apprensione, dove l’unico pensiero era rivolto alla salute di mia moglie.

Un progetto di famiglia. Un futuro di speranza

Dopo circa tre anni in cui i follow-up periodici previsti erano positivi, abbiamo cominciato di nuovo a pensare a un progetto di famiglia con bambini, ad un’idea di genitorialità attraverso l’accoglienza adottiva. Penso che sia normale, dopo la malattia rivolgere le attenzioni ad un futuro di speranza, pensare con ritrovato entusiasmo alla vita, anche questo stato d’animo trovo che sia una guarigione.

Cominciamo quindi ad informarci sul cammino da fare per l’adozione, in particolare verso l’adozione internazionale, mia moglie di origine straniera, tra l’altro, aveva manifestato già all’inizio della nostra relazione, anche se avremmo avuto dei figli nostri, il desiderio di adottare per fare del bene e per spirito solidaristico.

Come primi passi partecipiamo ad un incontro informativo di gruppo dove vi era anche la testimonianza di coppie che avevano già adottato con la presenza anche dei figli, nella sede di Mestre di Amici dei Bambini. Contattiamo quindi l’equipe adozioni della nostra ulss di residenza e partecipiamo al corso di informazione e sensibilizzazione obbligatorio.

Presentiamo al tribunale dei minori di Venezia la “Dichiarazione di disponibilità” all’adozione nel febbraio 2019 e veniamo contattati dall’Equipe Adozioni per effettuare lo studio di coppia; cominciamo i colloqui con l’assistente sociale, mentre per la psicologa dobbiamo aspettare che si documenti perché non ha mai lavorato nel campo dell’adozione (psicologa responsabile sicurezza sui posti di lavoro).

Durante i primi colloqui la psicologa chiede a mia moglie letteralmente: “ma lo sa che di tumore non si guarisce mai?” restiamo basiti e sinceramente faccio fatica a trattenermi a mandarla a quel paese.

Avevo letto che in certi casi durante i colloqui, possono cercare di provocare anche per vedere le nostre reazioni, ed in effetti in altre occasioni essendo mia moglie moldava, avevano fatto insinuazioni sulle badanti, ma questa poteva risparmiarsela.

Comunque terminiamo il nostro percorso e in novembre veniamo contattati dal tribunale per il colloquio con il giudice onorario.

Incontro cordiale, dove il giudice ci informa che la relazione dei servizi sociali è positiva, ci chiede se siamo disponibili ad alzare l’età massima del minore indicata sulla relazione e portarla da 7 ad almeno 8-9 anni, rispondendo che per noi andava benissimo.

Concludiamo l’incontro con il giudice che ci da alcuni consigli, di informarci bene attraverso il sito della C.A.I. la procedura e i bambini adottabili per la Moldavia e di riferirlo anche a lei, tanto che ci fornisce anche il suo cellulare; infine ci informa che ovviamente non si pronuncerà da sola (ma la camera di consiglio), ma che molto probabilmente riceveremo il decreto di Idoneità entro Pasqua 2020, mentre per l’adozione nazionale eravamo messi a ruolo in automatico, e che per lei erano gli ultimi mesi prima della pensione.

Noi intanto rincuorati, cominciamo ad informarci verso gli enti autorizzati che fanno adozioni verso la Modavia come prima opzione, anche se non eravamo assolutamente preclusi verso altri paesi, e facciamo colloqui con la sede di Ai.Bi. di Mestre e con Nadia onlus Verona.

Il covid e la burocrazia a rallentare tutto

Nel frattempo, arriva il Covid e si ferma tutto, aspettiamo con impazienza e veniamo ricontattati dall’ l’equipe adozioni solo a novembre 2020 per un nuovo incontro.
Il precedente giudice onorario è andato in pensione, ed il nuovo richiede ulteriori informazioni; in particolare ci chiedono altri certificati sullo stato di salute di mia moglie, e poi insistono sullo stato dei bambini cui siamo disponibili ad accogliere. Noi già in precedenza avevamo dichiarato la disponibilità verso bambini con problematiche lievi e reversibili, ma che con bambini con problemi gravi non ce la sentivamo, gli assistenti sociali rispondono che dai paesi dell’est arrivano tutti bambini con problemi veramente seri.

A gennaio 2021 arriva a casa la raccomandata con il provvedimento di “non Idoneità all’Adozione Internazionale”.
Nella lettura dell’istanza troviamo delle argomentazioni che noi non avevamo assolutamente espresso, come che noi davamo disponibilità per bambini con età non superiore 4-5 anni.

Mi ricordo che su una domanda specifica nell’esprimere il nostro bambino ideale avevamo risposto sui 4-5 anni massimo età scolare, ma appunto ideale, ma che eravamo ben consapevoli che non poteva corrispondere alla realtà, perché l’età degli adottandi era sempre in aumento e visto anche la nostra età non più giovanissima. Credo che moltissime coppie come bambino ideale possano desiderare di adottare un bambino più piccolo e sano possibile, ma poi ci si rende conto anche attraverso gli incontri di informazione e formazione nel percorso verso l’adozione che la situazione è diversa.

Cosa dovevamo fare, mentire e dare disponibilità a tutto oppure cercare di essere i più sinceri possibile?

Chiediamo un incontro di chiarimento con l’equipe adozioni, ma la psicologa ha cambiato lavoro, l’assistente sociale ci da appuntamento ma nel frattempo ha un infortunio in casa e non sarà disponibile prima di tre mesi.

Rimaniamo smarriti sconsolati, non sappiamo che fare.

Non credo che abbiano intravisto delle lacune o delle criticità insuperabili durante gli incontri ,e penso che meritavamo dei chiarimenti dei suggerimenti per continuare il percorso, non una “lettera” con risposte-sentenze per la maggior parte secondo noi ,non veritiere e basta.

Abbiamo avuto l’impressione che la vera motivazione della non idoneità, siano stati i problemi di salute di mia moglie, e che per non essere espliciti ci abbiano contestato altri argomenti.

Dovevamo insistere e combattere, ma con tutto quello che ci è capitato, con un decreto di non idoneità, una malattia grave in mezzo, un’età almeno da parte mia non giovanissima ed anni di delusioni ci hanno demoralizzato nell’anima.

Adesso durante le ultime visite di controllo parlandone con gli oncologi non ci sarebbero controindicazioni per una gravidanza, magari tramite procreazione assistita con ovodonazione, tecnica che non prevede stimolazione ormonale. Ma dopo quello che abbiamo passato rimangono mille dubbi, e nemmeno abbiamo l’ossessione di diventare genitori a tutti i costi. Rimane una grande amarezza.

Scusate della lunga lettera e dello sfogo.

(Lettera firmata)