Adozioni internazionali: la crisi si fa globale

Quale futuro per l’adozione internazionale? I soggetti coinvolti nel non facile percorso che aiuta le coppia a tornare in patria da un Paese straniero, con un figlio tanto desiderato e salvato dall’abbandono, sono più che mai costretti ad affrontare una crisi estesa a tutto il mondo accogliente. E sebbene non siano certo mancati in passato gli appelli a un rapido rilancio del sistema dell’adozione costi, burocrazia e interessi locali rendono sempre più complessa l’accoglienza dei minori abbandonati.

I numeri delle adozioni internazionali hanno purtroppo toccato il loro minimo degli ultimi 15 anni. A livello globale infatti il numero di bambini adottati è calato passando dai massimi del 2004, con 45.000 adozioni internazionali, al minimo di 25.000 del 2011 (Fonte: Prof. Peter Selman – Newcastle University).

Emblematico il caso degli USA, Il Paese che storicamente ha accolto circa metà dei figli adottivi del mondo, ha subito un forte declino che dal 2004 al 2010 ha portato da oltre 22.000 a sole 9.000 adozioni internazionali.

Negativi e preoccupanti anche i dati relativi agli altri Paesi sviluppati. Sempre nel periodo 2004-2010 la Spagna ha visto un calo del 48%, la Francia del 14% e il Canada del 21%. Lo dice il Professor Selman dell’Università di Newcastle che ha analizzato i dati dei primi 23 paesi al mondo per numero di accoglienze.

Ma quali sono le motivazioni?

A livello globale le principali, sempre secondo l’Università di Newcastle, sembrerebbero essere: i costi eccessivi che si associano alla crisi economica, la burocrazia, la chiusura di numerosi Paesi di origine e, infine, lo sforzo di molti Paesi adottanti di privilegiare le adozioni nazionali rispetto a quelle internazionali.

Parliamo innanzitutto di costi, ad esempio negli Stati Uniti variano mediamente tra i 20.000 e i 40.000 dollari.

C’è poi la burocrazia, non solo quella locale ma anche alcuni rallentamenti che sarebbero effetto indiretto della Convenzione dell’Aja. Non ne mettiamo in discussione la bontà: l’istituzione delle Autorità Centrali, il sistema di controlli e bilanciamenti sono certamente utili strumenti nel proteggere i minori e prevenire che si lucri sulle adozioni internazionali.

Ciò non ostante alcuni promotori delle adozioni internazionali ipotizzano che la crisi sia in qualche modo anche conseguenza delle rigide regole introdotte che avrebbero indotto alcuni realtà, come gli USA ad esempio, a congelare le adozioni da molti Paesi. Tra questi Elizabeth Bartholet, docente di giurisprudenza di Harvard, che afferma che “L’Aja avrebbe dovuto promuovere un vero passo avanti ma in realtà è stata applicata in modo sbagliato portando alla chiusura di molti Paesi. Questo impatta ogni anno su migliaia di bambini che restano chiusi negli istituti o, peggio, sono obbligati a vivere in strada alla mercè dei trafficanti di sesso”.

La burocrazia gioca contro le adozioni internazionali anche in molti luoghi di provenienza dei bambini. Alcuni di questi hanno introdotto procedure molto più lunghe e restrittive. Ci sono oggi nazioni che non rilasciano decreti a genitori obesi o che richiedono di provare la disponibilità di un certo livello di ricchezza in banca. La Cina ha chiuso alle donne single, che rappresentavano circa un terzo dei genitori adottivi statunitensi.

La chiusura di Guatemala, Nepal e Kyrgyzstan hanno coinciso con il cambiamento di politica messo in atto da grandi bacini di provenienza dei bambini come la Russia, la Cina e la Corea del Sud che hanno posto sempre maggiore enfasi sulle adozioni nazionali e incrementato le restrizioni per gli stranieri.

Una speranza per le adozioni internazionali rimane e si chiama Africa dove in particolare l’Etiopia sta divenendo una realtà di riferimento. C’è poi il Vietnam che ha aderito alla convenzione dell’Aja lo scorso 1° febbraio e che si spera possa riaprire le adozioni nel corso del 2013.

Fonti: CAI, Newcaste University, Harvard University, Associated Press, Redattore Sociale – Rielaborazione Ai.Bi.