Anfaa: folle pensare di abolire l’idoneità! Ai.Bi.: e perché?

Dalle pagine della rivista trimestrale Prospettive Assistenziali, nel numero 176 dell’appena trascorso 2011, si accende il dibattito intorno alla proposta di Ai.Bi. di abolire dalle procedure adottive il ruolo dei Tribunali per i Minorenni, per sostituirlo con un ruolo più accentuato di Enti e Servizi territoriali nell’accompagnamento alla genitorialità adottiva. Proponiamo dunque un botta e risposta, aprendo la discussione all’opinione dei lettori. Leggiamo di seguito quanto scrive l’articolo della rivista, e come controbatte il Presidente di Ai.Bi. Marco Griffini.

“Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. Amici dei Bambini, ha avanzato un’altra proposta allarmante: vorrebbe – addirittura – «cancellare i Tribunali per i Minorenni dalla procedura di idoneità per le adozioni», affermando – incredibile ma vero – che «una coppia disponibile all’adozione è già di per sé idonea. Pertanto le coppie non vanno selezionate, ma accompagnate». Ha inoltre affermato che «semplificare le procedure per l’adozione riporterebbe equilibrio ed eviterebbe scelte egoistiche» (cfr L’Avvenire e La Stampa del 17 settembre 2011). Invece delle analisi alle adozioni fallite a causa dell’inidoneità assoluta del o dei genitori adottivi, risulta in modo incontrovertibile la necessità di una rigorosa selezione/preparazione degli aspiranti adottanti, procedura sempre sostenuta dall’Anfaa, l’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, funzionante ininterrottamente dal 1962, nonché da numerose altre organizzazioni di base e dai magistrati e dagli studiosi attenti ai problemi reali dei minori.
Fra le situazioni che dimostrano l’insostenibilità della succitata affermazione di Griffini, secondo cui una coppia disponibile all’adozione è già di per sé idonea, ricordiamo la vicenda di due minori, adottati con il metodo fai-da-te da una coppia appartenente all’alta società del capoluogo piemontese. Significativo il provvedimento del loro allontanamento dai genitori adottivi assunto dal Tribunale per i Minorenni di Torino in cui, fra l’altro, era stato rilevato che «la pluralità delle fratture, ecchimosi, lesioni di ogni genere, risultate sul corpo di uno dei due bambini depongono per una altrettanto pluralità di episodi causali, nonché l’uso sistematico di punizioni corporali tutt’altro che lievi». Nella sentenza del Tribunale per i Minorenni di Torino viene altresì ricordato che l’altro minore si era chiuso da solo «nel box della doccia per quattro giorni e ivi, per quattro giorni, sia rimasto senza mangiare e senza dormire e senza che i genitori, rivolgendosi magari a terzi più avveduti, in alcun modo intervenissero per far cessare tale straziante dimostrazione di bisogno di attenzione e di rifiuto della situazione».
Da notare che la madre adottiva non aveva presentato ricorso alla sentenza di condanna a dieci mesi di reclusione per i maltrattamenti inferti ai figli adottivi. A sua volta il padre adottivo, assolto per insufficienza di prove, aveva accettato il verdetto del Tribunale Penale di Torino. A titolo esemplificativo ricordiamo altresì la terribile vicenda descritta nell’articolo “Hanno adottato dieci figli per torturarli e ucciderli”, pubblicato su La Domenica del Corriere del 20 febbraio 1975, in cui erano coinvolti un medico danese e la moglie infermiera, nonché l’ampia risonanza delle violenze inflitte ai minori adottati e cresciuti (in totale 76, quasi tutti con handicap fisici e psichici) dai coniugi Nason negli Stati Uniti, rese note nel nostro Paese dal resoconto di Furio Colombo, pubblicato su La Stampa del 1 ottobre 1992”.

Arriva la replica di Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini: «Sono casi del 1975 e del 1992, quindi risalenti a 20 e quasi 40 anni fa. Vuol dire che non si sono trovati casi più recenti di maltrattamenti, se addirittura si citano fatti così datati?».

Griffini ribadisce la natura psicologica dell’idoneità all’adozione, dando appoggio alle dichiarazioni provenienti da molte coppie adottive e aspiranti. «La verità è che forse non vi sono altre motivazioni per controbattere alla nostra proposta – continua Griffini, che conferma l’attacco all’emissione dell’idoneità centrata su criteri giudiziari –. Chi si vede padre e madre di un figlio non suo è già idoneo, pertanto non è necessario che vada selezionato. Il termine “selezione” appartiene a un linguaggio non adatto alla dignità di persone umane; infatti genera nelle coppie lo stress e la sensazione di sentirsi bestie avviate al macello. Per il genitore adottivo, l’idoneità è già insita nell’“accoglienza del cuore”. Non è certo il magistrato la figura adatta a misurarne l’intensità».

«Dobbiamo ribaltare la nostra prospettiva – propone Griffini –. Dobbiamo essere disposti a cambiare il nostro modo di concepire l’iter procedurale delle coppie. È tempo di uscire dalla vecchia cultura della selezione delle coppie, per abbracciare una nuova cultura dell’accompagnamento. Significa che le coppie che si vogliono rendere disponibili all’adozione vanno accompagnate lungo precise tappe di preparazione, perché diventino effettivamente in grado di sviluppare le loro preziose risorse: risorse di accoglienza e di amore familiare, innanzitutto, e risorse di risposta all’emergenza umanitaria dell’abbandono, la quarta emergenza in scala internazionale. Il cambiamento è possibile: è sufficiente seguire il modello dei maggiori paesi europei, dove l’idoneità viene riconosciuta a livello amministrativo, non giudiziario».