La “Famiglia” è fuori dal raggio di attenzione dei governi. Cinque anni per convocare l’Assemblea nazionale della famiglia.

Da Avvenire

Basta una tantum, ora servono certezze

Il sociologo Prandini: le politiche familiari sono investimenti, non costi per lo Stato

Dopo l’annuncio della sottosegretaria Maria Elena Boschi, il Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sulla famiglia, l’organo incaricato di preparare tesi e documenti per l’Assemblea nazionale della famiglia, attende che il governo formalizzi la data di fine settembre.

I lavori di preparazione del materiale sono già conclusi. «Ci siamo riuniti alla metà di luglio in una seduta convocata da tempo e tenuta in assenza del ministro Costa, che si era appena dimesso. Mai nostri documenti sono pronti», racconta Riccardo Prandini, sociologo dell’Università di Bologna, esperto di welfare e politiche familiari e uno dei membri del Comitato presieduto dal giudice Simonetta Matone.

Professore, perché è così importante l’Assemblea nazionale?

Perché da troppi anni la famiglia è rimasta fuori dal raggio di attenzione dei governi. Tutti quelli con cui parliamo, associazioni e parti sociali, convengono sul fatto che c’è necessità e urgenza di intervenire sulle politiche familiari. L’Assemblea si è riunita l’ultima volta nel 2012, e dovrebbe essere biennale. I piani presentati sono rimasti chiusi nei cassetti mentre la situazione è andata via via peggiorando. Basti pensare all’aggravarsi del declino demografico e delle situazioni di povertà familiari, più pesanti soprattutto nei nuclei numerosi.

Quali sono le tesi che emergono dal vostro lavoro?

Una sintesi più completa tocca alla nostra presidente Matone. Io intanto voglio sottolineare alcuni punti condivisi dai diversi gruppi di lavoro. Il primo è che d’ora in avanti bisogna pensare alla politiche familiari come politiche di investimento per il Paese e non come costi. Ogni spesa deve essere vista come un investimento per il futuro, una sfida propositiva della quale poi dovranno essere misurati gli effetti, il ritorno nel tempo, come si fa per gli investimenti economici.

Questo implica progetti di ampio respiro.

Infatti un altro punto decisivo è che devono finire gli interventi una tantum, i bonus, che non danno certezze nel tempo. Bisogna intervenire su un orizzonte temporale che consenta appunto di misurare gli effetti delle nostre scelte. E alla famiglie bisogna dare sicurezza, con investimenti sul medio e lungo periodo. Qualunque misura o stanziamento dev’essere varata con un orizzonte di almeno 3-5 anni

Sul fisco qual è la linea di intervento?

Al diversi livelli di imposizione la famiglia deve essere considerata sempre più come un nucleo e non una somma di individui, introducendo quello che le associazioni chiamano Fattore famiglia. La vecchia proposta del quoziente familiare alla francese non è riuscita a passare perché si scontrava contro il principio generale della nostra tassazione che è su base individuale. Il fattore famiglia rimodula l’imposizione in base ai carichi familiari, cioè al numero dei componenti e alla loro posizione nella famiglia.
Il gruppo di lavoro da lei direttosi è occupato in particolare delle politiche di welfare. Quali sono le priorità?

Innanzitutto c’è una convergenza sul fatto che sui territori le politiche sono state messe in difficoltà dai tagli di risorse e bisogna rimettere in sesto i servizi. Così come avviene nella Sanità, vanno fissati dei livelli essenziali di assistenza anche in campo sociale e socio-sanitario, da assicurare in tutto il Paese. Poi c’è la conciliazione tra i tempi di vita e lavoro, che occorre in tutti i modi favorire attraverso la contrattazione e con una revisione del sistema dei congedi. Infine sono da rivedere i servizi alla prima infanzia anche con un’unificazione tra asili nidi e scuole materne, che vanno aggancianti al sistema scolastico. Dobbiamo sempre tenere presente che l’istruzione è l’unico investimento capace di far uscire dalle situazioni di povertà.