Aumentare le adozioni internazionali: è “porsi ambiziosi obiettivi” o “perseguire un grande atto di giustizia”? 2° puntata

Pubblichiamo la seconda puntata della polemica sul Manifesto di Ai.Bi. Oltre la Crisi, scatenata da Pier Giorgio Gosso, ex presidente onorario aggiunto di Cassazione, alla quale replica in botta e risposta presidente di Ai.Bi. Marco Griffini.

Pier Giorgio Gosso: «Il continuo aumento dei minori in abbandono nel mondo (168 milioni nel 2009, secondo le stime Unicef) ‐ si legge nell’incipit del Manifesto ‐ pone tutti di fronte a un quadro talmente “disarmante” da rendere obbligatoria la ricerca di soluzioni che abbiano per obiettivo il rilancio delle adozioni internazionali, capovolgendone il trend negativo: questa, in buona sostanza, la ragione di fondo per porre mano alla riforma della legge che vi si caldeggia, “per giungere ad un numero sempre maggiore di famiglie accoglienti e di adozioni internazionali”.

In un suo articolato intervento di qualche anno fa, un eminente studioso (Paolo Morozzo della Rocca, ndr) osservava come occorresse sempre guardarsi da quelle impostazioni culturali che, nel discuterne le tematiche, vedono nell’adozione internazionale uno strumento per soccorrere i minori dei Paesi meno favoriti, assegnandole un preminente ruolo di assistenza umanitaria. Richiamarsi a questa puntualizzazione non significa lanciare un messaggio di pessimismo o di cinismo, soprattutto quando si tratta di esaminare dei percorsi riformisti che, se messi in pratica, potrebbero rivelarsi peggiori dei mali ‐ e cioè delle inerzie e delle disfunzioni spesso ricorrenti anche nei sistemi sociali più progrediti ‐ che si vorrebbero eliminare. Si intende semplicemente ricordare che il corretto funzionamento di un istituto così delicato come quello delle adozioni internazionali deve essere regolato senza porsi ambiziosi obiettivi che, apparentemente condivisibili, sono facili a tradursi in sperimentazioni gravide di distorsioni.

Poiché il numero delle adozioni non ha nulla a che vedere con i targets perseguiti dall’economia di mercato, è evidente che la posta in gioco non può e non deve essere quella di aumentare purchessia le adozioni internazionali, ma bensì quella di realizzarle nel miglior modo possibile, procurando la famiglia giusta al minore che famiglia non ha, attraverso un percorso di informazione, di preparazione e di scelte valoriali di grande impegno sia per chi chiede di accedervi e sia per quanti sono investiti del compito di gestirlo».

Marco Griffini: «Consigliamo al Dott. Gosso di chiedere ai minori stessi che vivono nell’abbandono, anziché al prof. Morozzo della Rocca, se sia o meno giusto considerare l’adozione internazionale come uno strumento di “assistenza umanitaria”. Ai.Bi. ha sempre puntualizzato l’enorme differenza tra “assistenza” e “accoglienza”, avendo sempre invocato la necessità di “accogliere”, e non appunto di “assistere”, i minori senza famiglia. Ben si guarda Ai.Bi. dal dichiarare che il minimo comun denominatore dell’adozione internazionale sia l’umanitarismo. Sarebbe cosa fuorviante. Per questo poco si comprende come mai il dott. Gosso abbia voluto calcare la mano su questo tema. È intenzione di Ai.Bi. semmai comunicare il seguente concetto: l’adozione non è questione di umanitarismo né certo di pura solidarietà, bensì il più grande atto di giustizia che la persona umana possa compiere nella vita e come tale dovrebbe essere riservato ad ogni bambino.

Anzi, a questo riguardo ci piacerebbe vedere il Dott. Gosso in ognuno degli istituti nei quali Ai.Bi. svolge attività di cooperazione proprio per cercare di rendere possibile il rientro nelle famiglie di origine e l’accoglienza negli stessi Paesi di origine dei minori. Si tratta di obiettivi altamente ambiziosi che, se concordassimo con la pessimistica visione di Gosso, avremmo già abbandonato da tempo.

La realtà dell’abbandono, nelle storie dei singoli bambini che gli operatori di Ai.Bi. hanno direttamente conosciuto – e lontano quindi dalla logica puramente procedurale nella quale sembra imprigionato il ragionamento del Dott. Gosso -, è fatta di vite che hanno ambiziosi obiettivi e ambiziosi sogni. Parimenti difficili sono, infatti, sia il lavoro per la ricostruzione dei legami con la famiglia d’origine, laddove esiste, che il lavoro di ricerca di un nuovo equilibrio e di una nuova accoglienza. In ognuno di questi casi chi vede i bambini, e non solo i libri, impara che non è possibile avere una idea preconcetta di cosa sia meglio per quel minore. E si impara anche che quello che i bambini sognano è una vera ambizione: amore e accoglienza definitivi e incondizionati.

Se non ci si pone in quest’ottica – quindi nell’ottica di un lavoro che ha esattamente l’ambizioso obiettivo che il Dott. Gosso rifiuta, e cioè l’obiettivo di realizzare questo sogno d’amore per tutti i bambini abbandonati fino all’ultimo presente su questa terra -, non si è capito niente dell’interesse del minore e dunque dell’adozione.

Sorge anche il dubbio, peraltro, sul fatto che questi desideri di accoglienza  possano essere definiti “ambiziosi progetti”, visto che anche giuridicamente la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’Adolescenza del 1989 già dal suo preambolo non lascia dubbi sul fatto che la vita in una famiglia rappresenti un vero e proprio diritto per i minori, diritto che anche la nostra legge nazionale sulle adozioni riconosce con maggiore trasparenza con la legge di riforma n. 149/2001 intitolata appunto “diritto del minore ad una famiglia”. Il fatto che la realizzazione di questo diritto per tutti i minori abbandonati sia nella pratica una faccenda complessa non può certamente essere circostanza idonea a privare quel diritto della propria efficacia».