Cassazione: “Insultare sui social è diffamazione aggravata”

insultareLa bacheca di Facebook o di twitter usati come la prima pagina di un giornale per la diffusione di messaggi offensivi. Una pratica sempre più utilizzata e finalmente sanzionata.

Il 2017 inizia, infatti, con un segnale positivo che dovrebbe far riflettere quelli che continuano a pensare che attraverso i social sia lecito l’insulto indiscriminato, chiunque può dire qualunque cosa come se si fosse tutti chiusi nello spalto di uno stadio.

La prima sezione penale della Cassazione ha specificato in una sentenza (n. 50 del 2 gennaio 2017) che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook o di altri social network, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e quindi di esclusiva competenza del tribunale penale, poiché si tratta di “condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

È chiaro che non dovrebbero essere la paura delle sanzioni, ma una maggiore cultura digitale a far riflettere i “leoni da tastiera”, ma è sempre bene che anche chi interpreta il diritto si stia rendendo conto che ciò che avviene in rete non riguarda più una parte esclusiva della società ma comporta effetti reali nella vita di qualsiasi cittadino.

Una decisione che va a confermare quanto la Cassazione aveva stabilito a marzo scorso, nell’occuparsi di una vicenda di diffamazione aggravata ai danni dell’attuale presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, che nel periodo in cui ricopriva il ruolo di commissario straordinario della Croce Rosa Italiana, nel 2010, era stato bersaglio di un’invettiva tutta social da parte di un componente in congedo del corpo militare della Croce Rossa: un caso che oggi viene paragonato alla diffamazione aggravata dall’uso del mezzo stampa.

Il carattere proprio di un messaggio sulla bacheca Facebook, attraverso il quale “gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita“, è, infatti, potenzialmente quello di “raggiungere un numero indeterminato di persone”, e questo giustifica la condanna per diffamazione aggravata.

Fonte: La Stampa; Il Fatto Quotidiano