«Dopo tre affidi, posso dire che i nostri sforzi sono inutili: il sistema non funziona»

Salve, Ai.Bi.

vi leggo spesso, perché sono una mamma biologica e affidataria. La mia storia d’accoglienza nasce dal dolore di aver perso mio figlio per un tumore. All’inizio credevo che non sarei sopravvissuta. Poi, ho sentito la necessità di dare un senso a tutto quello che mi era capitato. Mi sono guardata intorno e ho scoperto il dramma sconfinato dei bambini che hanno una famiglia, che però non è in grado di occuparsi di loro. Insieme a mio marito abbiamo deciso di diventare una famiglia affidataria. Ma adesso che siamo già al terzo bambino in affido, credo di poter dire che l’affido non funziona. I bambini arrivano in condizione davvero critiche e noi cerchiamo di fare ogni sforzo per rimetterli in piedi, dando loro affetto e modelli positivi. Ma poi non c’è nessuno che si prenda realmente in carico le famiglie d’origine. E allora mi chiedo: a che serve il nostro sforzo?

 

PELLINICarissima,

Un ringraziamento prima di tutto per la sua testimonianza. Molte sono le motivazioni che spingono una famiglia ad accogliere un bimbo in affido; lei ci dimostra che da un dolore immenso può nascere qualcosa di altrettanto bello e generoso: offrire il calore di una famiglia a un bimbo che temporaneamente non ce l’ha.

Troppo spesso l’esperienza delle famiglie accoglienti deve fare i conti con il mancato lavoro di accompagnamento delle famiglie d ‘origine al superamento delle difficoltà.

 

Mi sento di fare due considerazioni.

Una di tipo più politico: è indispensabile che qualcosa cambi nel sistema affido, l’intervento non può ridursi al solo collocamento del bambino in una famiglia alternativa. A partire da una reale possibilità di recupero delle capacità genitoriali, ci vuole l’impegno condiviso dai vari attori di perseguire obiettivi chiari e raggiungibili, dettati da un progetto steso anche con la partecipazione della stessa famiglia d’origine. Questa va poi accompagnata passo passo nel percorso indicato. Alla luce dell’attuale situazione politico-economica è indispensabile un coinvolgimento reale e ampio dell’associazionismo nella gestione di una vera accoglienza familiare temporanea.

La seconda considerazione è legata al senso che comunque conserva l’accogliere un bimbo nelle nostre case.

Questi bambini sono provati da sofferenze inimmaginabili a prescindere da ciò che ha determinato l’allontanamento dalla loro famiglia. Hanno bisogno di calore, di riferimenti positivi, di un modello alternativo. Ma soprattutto hanno bisogno di continuare a sperare che anche per loro ci sarà la possibilità di un futuro sereno. Cosa che lei e suo marito state facendo molto bene. La ringrazio

 

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’accoglienza familiare temporanea