“E’ un’adozione reciproca: lui si affida a noi e noi a lui”

maniAll’Open Day di Ai.Bi il racconto di tante esperienze positive. Ma anche delle coppie che hanno dovuto “tenere duro” per farcela. Hanno parlato anche i giovani adottati: «Da quel giorno sono diventato importante per qualcuno», dice uno di loro. Riportiamo la versione integrale delle belle storie di adozione raccolte e pubblicate nel dossier di Famiglia Cristiana a firma di Stefano Pasta.

«Quando parte l’aereo?». È stata la prima domanda che Rairon e Resley, due fratellini brasiliani di 12 e 9 anni, hanno fatto ai loro genitori adottivi, Isabella e Ulrich Niedermayr. Hanno vissuto per cinque anni con la loro madre biologica per poi andare in un istituto. Arrivati in Italia, all’inizio avevano un atteggiamento di paura: paura di essere illusi, abbandonati di nuovo. «L’adozione», racconta Isabella, «sicuramente è un percorso impegnativo, perché hai a che fare con un bambino che ha già un suo vissuto con cui deve fare i conti, ma proprio per questo ti ricambierà con un amore sconfinato. Io e mio marito la chiamiamo un’adozione reciproca. Perché quando accogli un bambino più grande d’età scatta un affidamento reciproco: lui si affida totalmente e consapevolmente a te e tu, genitore, a lui. Insieme, giorno dopo giorno, si impara come crescere insieme».

A Cornaiano, il paese dell’Alto Adige dove abitano i Niedermayr, il colore della pelle dei fratellini brasiliani non è passato inosservato, ma è diventato l’occasione per tutta la comunità di vivere il valore dell’accoglienza. «Oggi», racconta la madre, «sono i beniamini di Cornaiano. Con tutti gli abitanti abbiamo appena festeggiato il loro battesimo, perché in tanti potessimo condividere la gioia del sacramento». Nel frattempo Rairon e Resley hanno imparato, oltre al portoghese, il tedesco e l’italiano.

Anche i coniugi Bubbico si sono sperimentati con le lingue. «Abbiamo imparato il russo per dire che Victor era il più bel dono della nostra vita: così è diventato nostro figlio». Gli operatori di Ai.Bi, l’associazione che come per i Niedermayr li ha accompagnati nell’adozione, raccontano che mamma e papà sono riusciti persino a commuovere il giudice di Iževsk, la capitale della Repubblica Autonoma dell’Udmurtia, nella Russia centro-orientale.

In compenso, la prima parola d’italiano che il bambino di 8 anni ha imparato è stata «aiutami». La mamma Mary dice: «È un dono di Dio. Non importa quanto hai dovuto aspettare e patire: alla fine la gioia indescrivibile che provi nell’abbracciarlo e nel guardarlo dritto nei suoi occhietti, ti ripaga di tutto».

Chi ha dovuto aspettare veramente molto sono Maddalena e Cristiano Lingeri. Aver già un figlio biologico e non avere impedimenti fisici e di salute ha fatto notevolmente allungare la procedura: «Psicologi e assistenti sociali», spiega la mamma, «continuavano a chiederci il perché di questo desiderio: perché un’adozione quando potevano arrivare altri figli naturali?».

Dopo la lunga attesa, il primo a prendere in braccio la sorella – anzi, lui la chiamava «fratellina» – è stato proprio il primo figlio Leonardo. Parbati arrivava dalla capitale nepalese Kathmandu. Maddalena ci tiene a raccontare un episodio: «Eravamo in montagna, Parbati aveva 3 anni e Leonardo 8; i bambini camminavano mano nella mano: il sentiero si era fatto stretto, Leonardo si è fermato e ha messo al sicuro Parbati spostandola sul lato della montagna. È stato uno dei gesti più affettuosi e belli che abbia mai visto tra fratello e sorella».

Anche Lisia e Antonio Gorgoglione, coordinatori del Movimento Famiglie Locali della Puglia, avevano già due figli biologici quando hanno deciso di adottare Francesco. Per loro l’opposizione arrivava soprattutto dai futuri nonni, che non volevano un nipote adottivo.

I Gorgoglione hanno scelto di non mollare, sorretti dalla frase del Vangelo «Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me». «Salvando questo bambino», dice a distanza di anni Antonio, «abbiamo salvato noi stessi».

Come l’adozione possa cambiare una vita lo racconta Marco Carretta, coordinatore di Ai.Bi Giovani che dal 2010 raccoglie i figli adottivi delle coppie aiutate dall’associazione. «La differenza con mia sorella? Lei ci ha messo 9 mesi per nascere, io 22!», racconta il ragazzo, oggi ventenne.

«Quando sono stato adottato 22 mesi fa sono stato scelto e lì sono diventato importante per qualcuno. Sono stato un fortunato e di questo continuo a essere consapevole. Perché la mia vita poteva essere tutt’altra: potevo rimanere in quell’istituto dove sono stato trovato e dove magari tanti altri sono rimasti».

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