Ecco perché abbiamo scelto l’adozione e detto no alla fecondazione eterologa

“…Improvvisamente una cosa astratta come un ovocita divenne una cosa terribilmente concreta: quel bambino non sarebbe mai stato biologicamente mio, neanche se lo avessi partorito”

 L’adozione è una scelta meravigliosa. Lo ripetiamo da sempre e continueremo a ripeterlo all’infinito. Donare amore. Accogliere un bambino abbandonato. Vederlo rifiorire. Vederlo “rinascere figlio”. Tuo figlio. Si, tuo, perché un figlio non è solamente un bambino che nasce dalla “tua pancia”, quel legame forte e profondo che si instaura con lui, nasce direttamente dal cuore, biologia o non biologia. Pancia o non pancia.

Qualche tempo fa, il quotidiano La Stampa, ha pubblicato una storia davvero significativa. A raccontarla, perché vissuta in prima persona, Simona Siri, giornalista e scrittrice italiana che vive negli Usa con un marito americano, conosciuto già passati i 40 anni di età.

La coppia, si apprende sulla Stampa, avrebbe voluto suggellare il proprio amore con l’arrivo di un figlio. Consci delle difficoltà dovute all’orologio biologico, marito e moglie hanno così deciso di tentare la strada delle tecniche riproduttive, che, negli USA, sono praticamente possibili senza limitazioni: dalla fecondazione eterologa all’utero in affitto.

Io e mio marito iniziammo nel 2016 la nostra avventura nel mondo della riproduzione assistita – racconta Simona Siri- partendo dalla cosa più banale: cercare di utilizzare le mie pur vecchie uova per tre cicli di “natural IVF procedure”.

Dopo la fecondazione assistita, per tre volte andata a vuoto, fu la volta di quella eterologa.

Non dovemmo aspettare tanto – scrive la giornalista- e nel giro di pochi mesi ci furono presentate, in forma anonima, due possibili donatrici. Delle due, una ragazza di origini sudamericane, studentessa al College, appassionata di architettura e con nessun tipo di problema fisico né psicologico. Facciamolo, ci dicemmo io e mio marito […] Era tutto pronto, eravamo convinti, fino a quando l’ospedale ci mostrò il questionano compilato dalla donatrice e io notai la sua scrittura, una di quelle grafie rotonde, infantili, con i puntini sulle i che sono quasi pallini e le vocali ciccione. Improvvisamente una cosa astratta come un ovocito divenne una cosa terribilmente concreta, una persona che evidentemente non ero io, così come quel bambino non sarebbe mai stato biologicamente mio, neanche se lo avessi partorito. […] cancellai tutto: «Non è per me», gli dissi. Non è quello che voglio”.

Ed eccola allora lì la rivelazione… meravigliosa… scintillante:

Mai come in quel momento mi fu chiaro che il modo nostro per diventare genitori, quello che davvero volevamo, non passava attraverso la biologia, la scienza, le provette e gli ospedali, ma molto più semplicemente dall’amore”.

Accogliere un figlio nell’amore: l’adozione

Dopo quel no, detto con forza, la coppia decise di scegliere la strada dell’accoglienza. Di aprire il proprio cuore per accogliere un bambino abbandonato. Ed è così che a luglio dello scorso anno, a colorare la loro vita è arrivata Ella Mae, bimba afroamericana.

Mia figlia è in tutto e per tutto – dichiara Simona Siri- la scelta più consapevole che abbia mai fatto in vita mia. E sottolineo scelta: pur con tutte le opzioni a mia disposizione per diventare madre, pur avendo considerato altre possibilità, pur vivendo in un Paese dove, se hai disponibilità economica, quasi nulla ti è precluso in termini di riproduzione assistita, l’adozione alla fine è la cosa che fa per me. Quella che sento in linea al cento per cento con i miei valori e la mia personalità. E sono grata di averla potuta scegliere io: non lo Stato, non la burocrazia, non i medici, non la mia età, neanche la mia salute. L’ho scelta io. Ed è una sensazione che non ha prezzo”.