Il Consiglio d’Europa dice no alla regolamentazione dell’utero in affitto

consiglio d'europaPiccola ma importante svolta europea a favore dei diritti dei bambini e delle donne. Martedì 15 marzo la Commissione affari sociali del Consiglio d’Europa ha bocciato il Rapporto De Sutter, finalizzato a ottenere una regolamentazione internazionale dell’utero in affitto. Una vittoria di misura – 16 no contro 15 sì -, ma comunque decisiva per bloccare definitivamente il documento e le iniziative politiche che sarebbero scaturite dalla sua eventuale approvazione, a favore della maternità surrogata nei 47 Paesi membri dell’organismo europeo.

Tre le richieste contenute nel documento bocciato. Innanzitutto la proibizione della surrogazione di maternità solo nei casi in cui questa fosse “for-profit”, ovvero quando la gestante riceve una somma aggiuntiva rispetto alle “ragionevoli spese” sostenute durante la gravidanza. In secondo luogo, una regolamentazione “chiara, robusta e trasparente” nei Paesi in cui l’utero in affitto è già pratica diffusa. Infine, l’impiego di uno strumento globalmente condiviso, sul modello della Convenzione internazionale sulle adozioni, che regoli l’utero in affitto a livello mondiale al fine di evitare o risolvere problemi e contenziosi dei quali i tribunali si trovano sempre più spesso a occuparsi.

In sostanza, il Rapporto De Sutter intendeva aprire le porte all’utero in affitto, ipotizzando una maternità surrogata “altruistica”, cioè positiva, per renderla accettabile e legalizzarla a livello globale. Insomma, un vero trionfo di ambiguità.

Tanto più che il documento che la Commissione affari sociali del Consiglio d’Europa è stato a un passo dall’approvare nasceva su un evidente conflitto di interessi. Petra De Sutter, infatti, è una deputata e ginecologa che, nella sua clinica, in Belgio, pratica la surrogazione di maternità.

La proposta di legalizzare l’utero in affitto si fondava, secondo le dichiarazioni di chi la proponeva, dall’esigenza di difendere “l’interesse del minore” nato in questo modo. Tuttavia, se non discriminare i bambini venuti al mondo in questo modo è più che giusto, ciò non vuol dire accettare tale forma di procreazione, pratica disumana e lesiva della dignità delle donne. Allo stesso modo, per esempio, non discriminare i minori nati da stupri e incesti non vuol dire ammettere stupri e incesti come un dato inevitabile. “Riconoscere la validità di un contratto con cui una donna cede a terzi il bambino appena partorito significa accettare di mercanteggiare con le persone indipendentemente dalle modalità di pagamento”, sottolinea Assuntina Morresi su “Avvenire” del 16 marzo. Perché mai, del resto, si dovrebbe distinguere tra una donna che si impegna a cedere a terzi il proprio neonato e una che invece si impegna a fare la fecondazione assistita e a cedere il bambino con un apposito contratto? Perché la prima commetterebbe un reato e la seconda compirebbe un gesto altruistico?

Il voto del 15 marzo potrebbe rappresentare un punto di svolta e l’inizio di un impegno comune anche in Italia, partendo da una riflessione non politicamente connotata e quanto mai urgente sul significato di essere madri, padri e figli.

 

Fonte: Avvenire