Il fallimento della rappresentanza unitaria degli Enti Autorizzati. È durata solo 5 mesi l’esperienza di “Uniti per l’adozione”. Un’occasione persa

America, la crisi delle adozioni colpisce al cuore

“Uniti per l’adozione” non c’è più. La rappresentanza di enti e coordinamenti di enti ha optato per lo scioglimento, in queste settimane autunnali particolarmente calde per l’adozione internazionale. Finisce così la breve vita di un sodalizio durato solo 5 mesi. Al momento non sono note le motivazioni ufficiali che hanno portato allo scioglimento. Anche il portavoce della rappresentanza, Pietro Ardizzi, per ora non ha fornito dichiarazioni ufficiali in merito a questa scelta.

Era luglio 2014 quando i 14 enti autorizzati che costituiscono il coordinamento Ola, i 14 del coordinamento Cea, i 4 del gruppo “La Nuova Adozione” – tra cui Amici dei Bambini e l’unico ente pubblico attivo in Italia, l’Arai – e altri 13 enti decisero di unire le proprie forze per confrontarsi e trovare una strada il più possibile comune per fare fronte alla grave crisi in cui versa da anni l’adozione internazionale.

Un esperimento evidentemente non riuscito. Hanno prevalso le strategie particolari di alcuni singoli enti, nonché certi discutibili atteggiamenti della Commissione Adozioni Internazionali volti a creare divisioni, più che ad agevolare l’unione per arrivare finalmente a costituire una rappresentanza unitaria degli enti autorizzati, obiettivo auspicato e sollecitato ma mai realizzato dalle  gestioni via via succedutesi alla guida della CAI.

Chi non ricorda, infatti, la passione e la perseveranza di Anna Maria Colella (Arai) nei seminari di Casal del Marmo nel tentare di raggiungere questo ambizioso traguardo?

Questa volta pareva che un deciso passo in questa direzione fosse stato finalmente compiuto. “Uniti per l’adozione”, infatti, aveva dalla sua la forza di dare voce a ben 45 dei 62 enti  attivi in Italia, rappresentando, per il 2013, il 76% dei minori adottati (2149 su 2825 totali) e il 77% delle coppie adottive (1758 su 2291). Gli inizi avevano lasciato ben sperare. Dopo un egregio lavoro, questo sodalizio era riuscito a redigere – per la prima volta nella storia dell’adozione internazionale in Italia – un documento nel quale si facevano presenti i temi ritenuti più urgenti da affrontare: le modalità di collaborazione tra gli enti e la CAI, la situazione dei Paesi di provenienza degli adottati, i tempi e le modalità delle nuove autorizzazioni e delle estensioni per nuovi Paesi, le proposte di aggiornamento delle Linee Guida per gli enti, i bandi e i progetti di sussidiarietà.

Il documento – presentato ufficialmente in occasione dell’assemblea degli enti tenutasi il 14 luglio – indicava la strategia da seguire per uscire dalla crisi. Si erano quindi gettare le premesse per un lavoro importante e fruttifero. Ma dopo l’estate le vecchie e mai sopite rivalità tra i diversi attori di questo settore hanno avuto il sopravvento: è iniziata così la “stagione dei veleni”.

Il primo drammatico segnale che qualcosa, all’interno di “Uniti per l’adozione”, si fosse rotto arrivò poco dopo la metà di ottobre, quando uno degli enti rappresentati, il Ciai (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia), attraverso un suo comunicato ufficiale, prese esplicitamente una posizione politica, contestando l’iniziativa del senatore del Nuovo Centrodestra, Carlo Giovanardi, di presentare a Palazzo Madama un’interpellanza in merito alle modalità di lavoro della CAI e alla legittimità della nomina dell’attuale Vicepresidente a quel ruolo. Una presa di posizione che, mettendo in discussione l’operato di un parlamentare che si era limitato a fare ciò per cui era stato eletto, dette il via, di fatto, a un gioco al massacro che ha finito per coinvolgere molti  enti. Tra questi, infatti, alcuni si erano schierati pubblicamente a sostegno della CAI, lasciando di fatto gli altri esposti a un possibile e quanto mai pericoloso rischio.

Recentemente, poi, la stessa CAI ha rincarato la dose pubblicando sul suo sito l’elenco degli enti che esprimevano esplicito consenso all’operato della Commissione su una delle vicende più intricate degli ultimi tempi, quella delle adozioni nella Repubblica Democratica del Congo. Una sorta di lista degli enti “fedeli”, come se ci fossero enti “buoni” e altri “cattivi”, a seconda che si dichiarino d’accordo o meno con la CAI.

Un atto che, oltre a non favorire di certo l’unione tra le organizzazioni impegnate nel campo delle adozioni, rappresenta un vero e proprio “attentato” a quella visone democratica e imparziale  che le istituzioni, specie quelle preposte al controllo, dovrebbero avere nei confronti delle organizzazioni alla stessa sottoposte. Se in un Paese, infatti, viene negato il diritto di critica e di manifestazione del libero pensiero, vuol dire che si è all’inizio di un periodo molto buio della sua storia. Ne è un preoccupante indizio, per esempio, l’attuale situazione proprio della CAI, in cui colui che è deputato al controllo (il presidente) riveste lo stesso ruolo del controllato (il vicepresidente), il che non può certo favorire il rispetto del clima democratico.

Un esempio per tutti: il fatto gravissimo avvenuto di recente ad alcune coppie che avevano dato mandato ad Ai.Bi. e che hanno ricevuto dalla CAI il sollecito a ritirare tale incarico. Un comportamento che ha spinto Ai.Bi., per autodifesa, a presentare alla Commissione una formale diffida dal perseverare in tali  gravissime azioni.

Di fronte a questi fatti inqualificabili – che nell’attuale situazione possono accadere a ogni ente autorizzato – una rappresentanza unitaria, quale era “Uniti per l’adozione”, avrebbe potuto esigere da chiunque e anche dalla stessa CAI il rispetto delle regole. Invece purtroppo ha vinto il prevalere dei particolarismi e delle vecchie rivalità.

E ora che succederà?