Importante sentenza della Corte d’Appello di Ancona: la kafala deve essere riconosciuta anche per i cittadini italiani se pronunciata da un’autorità dello Stato di origine

Mentre in Italia persiste un vuoto normativo che non consente di coordinare l’istituto della kafala islamica con le leggi vigenti nel nostro Paese sulla protezione dei minori, la Corte d’Appello di Ancona, con una coraggiosa pronuncia del novembre 2011, ha riconosciuto il diritto di ingresso in Italia, attraverso il ricongiungimento familiare, ad un minore in kafala a carico di cittadini italiani.

Con questa sentenza che stravolge la posizione della Cassazione espressa nella sentenza n. 4868/2010, la Corte d’Appello di Ancona ha fornito una lettura costituzionalmente orientata delle norme sul ricongiungimento familiare contenute nel Testo Unico sull’immigrazione e ha dichiarato preminente l’interesse del minore, in quanto lo stesso è stato affidato alla coppia “in virtù non di un accordo privato ma di un impegno siglato dai coniugi affidatari con lo Stato d’origine, in particolare con l’Amministrazione degli Affari Sociali, Direzione della Famiglia e dell’Infanzia”.

Secondo questi giudici, la kafala su un minore abbandonato non può ritenersi uno strumento per aggirare, se pronunciata da un’autorità dello Stato d’origine del minore, le procedure di adozione internazionale, perché per la religione islamica “è l’unico strumento possibile per chi voglia impegnarsi nei confronti di un minore abbandonato”. Inoltre nei paesi di tradizione giuridica islamica dove non esiste l’adozione i minori abbandonati non potrebbero comunque essere dichiarati “adottabili”.

La Corte d’Appello di Ancona ha anche ricordato che l’Italia è l’unico Stato europeo a non avere ancora ratificato la Convenzione de L’Aja del 1996, ma ha comunque concluso che “indipendentemente dall’inadempimento da parte dell’Italia nella ratifica della citata Convenzione, non può non tenersi conto del riconoscimento anche da parte dell’Ordinamento Europeo della kafalah quale strumento di protezione dei minori”. Di conseguenza, nella nozione di “familiare”, ai fini del ricongiungimento dall’estero, rientra anche il minore in kafala “affidato” a cittadini che abbiano anche la cittadinanza italiana.

Sappiamo che negli ultimi mesi il Parlamento italiano non ha fatto nessun nuovo passo rispetto alla ratifica della Convenzione firmata a L’Aja il 19 ottobre 1996 e che i quattro progetti di legge depositati alla Camera per la ratifica già nel 2010 sono ancora in attesa di approvazione. Tuttavia, la posizione della giurisprudenza apre nuovi scenari.

A questo punto sarà importante la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, interrogata con l’ordinanza n. 996 dello scorso 24 gennaio 2012, dovrà rispondere al quesito sull’applicazione dell’art. 29 TU sull’immigrazione, attraverso l’art. 23 d.lgs. 30/2007, anche al cittadino comunitario (e quindi italiano).

Vedremo se la Cassazione resterà nella sua posizione oppure se seguirà i giudici di Ancona difendendo con coraggio e in maniera assoluta il superiore interesse del minore.

L’unica certezza al momento è che, al di là di quanto dichiarerà la Cassazione a Sezioni Unite e in aggiunta all’attesa ratifica, servono comunque delle norme che, completando la legge 4 maggio 1983 n. 184 e successive modifiche, regolino con uniformità questa materia e introducano procedure e garanzie analoghe a quelle applicabili all’adozione internazionale.

Scarica la Sentenza: Kafala – Sentenza Corte d’Appello Ancona novembre 2011