La dignità calpestata dei figli della provetta: “Vi racconto quanto è difficile nascere così e scoprirsi a 30 anni senza diritti”

libro eterologaCrescere per 30 anni con la percezione che, nella propria famiglia, ci sia qualcosa che non va. Quindi scoprire la verità, arrabbiarsi e realizzare che la responsabilità non è solo dei propri genitori, che hanno taciuto per tanti anni su come siano andate veramente le cose, ma anche di tutto il sistema che obbliga a mantenere il silenzio. La vicenda di Audrey Kermalvezen, avvocato francese di 33 anni, è emblematica della sofferenza di chi nasce in laboratorio da una persona diversa da quella che l’ha cresciuta.

Audrey ha raccontato la sua storia in un libro, Mes origines, una affaire d’Etat, ed è diventata una paladina della lotta contro la fecondazione eterologa e l’anonimato dei donatori di gameti. Con l’associazione di cui fa parte, Procréation médicalement anonyme, si impegna a “testimoniare quanto sia difficile essere stati generati così”.

Quando ero piccola non sapevo nulla – racconta l’avvocato francese -, eppure sognavo sempre un uomo che arrivava e mi portava via. Poi chiedevo continuamente ai miei genitori se mi avessero adottata. All’età di 23 anni scelsi di specializzarmi in diritto bioetico, pur non sapendo ancora nulla della mia storia”.

La verità arriva a 29 anni, quando i suoi genitori decidono di rivelare tutto a lei e a suo fratello, anche lui concepito in laboratorio con lo sperma di uno sconosciuto, 3 anni prima rispetto ad Audrey. Le reazioni furono completamente diverse. “Mio fratello si sentì sollevato”, perché era sempre stato certo che nella sua famiglia “ci fosse qualcosa che non andava”. Audrey, invece, provò rabbia verso i suoi genitori che le avevano mentito per così tanto tempo. “Poi compresi che non erano solo loro i responsabili del segreto – ammette -, ma anche i dottori che avevano creato tutte le condizioni per mantenerlo, scegliendo un donatore che assomigliava a mio padre e dicendo a lui e a mia madre di non rivelarci nulla.

Le vicende della vita hanno voluto che, più tardi, Audrey incontrasse e sposasse un uomo anch’egli concepito in provetta. Ma lui sapeva tutto fin da bambino. “Con mio marito, ora, condivido una paura – confessa l’avvocato -: quella di essere nati dallo stesso genitore. Mio marito e le sue sorelle sapevano da sempre di essere stati concepiti da un donatore di sperma, ma erano pure sicuri che i loro genitori avrebbero dato loro le informazioni sull’identità paterna una volta compiuti i 18 anni”. Invece niente: non erano in possesso di alcuna notizia a riguardo.

Essendo stata concepita nel 1979, Audrey non ricade sotto la legge francese del 1994 che sancisce l’obbligo dell’anonimato per il donatore. Il suo può essere contattato e gli si può chiedere se voglia rimanere anonimo o no. “Se dirà che non vuole rivelarmi la sua identità, rispetterò questa decisione – annuncia la donna, che però non transige su una cosa: – la legge protegge solo l’identità, la ma la giustizia francese stabilisce che non si possa nascondere se mio fratello o mio marito e io siamo stati concepiti o meno tramite lo sperma dello stesso uomo. Invece si rifiutano di rispondermi”.

L’evidente difficoltà di un “figlio della provetta” a rivendicare un suo diritto dimostra come la legge metta i diritti del concepito in secondo piano rispetto a quelli degli adulti. “Ecco perché noi non siamo qui per conoscere le nostre origini – precisa Audrey -, ma per testimoniare quanto sia dura nascere così”.

 

Fonte: Tempi