La testimonianza. Don Maurizio Chiodi racconta la sua lotta contro il Coronavirus

Il consigliere spirituale de “La Pietra Scartata”: “Quando nel Covid-19 inizia il lento processo della guarigione hai quasi paura a dirlo

“Covid-19, la malattia da coronavirus, è senza dubbio un’esperienza di passione e di morte, anche se non necessariamente essa si conclude con la morte personale“. A scriverlo sulle colonne di Avvenire è il teologo don Maurizio Chiodi, ispiratore e per molti anni consigliere spirituale de “La Pietra Scartata“, da circa un mese in ospedale, dove ha combattuto contro il virus.

Una riflessione toccante, quella di don Maurizio. “Il virus – spiega – tocca l’atto del respirare e del mangiare, insidiandoti nel tuo rapporto con le cose e con il mondo e colpendo l’intimo più profondo del tuo corpo. Si insinua in te, ingaggiando una lotta mortale, colpo su colpo, corpo a corpo. Tutte queste esperienze di patimento e di morte, per noi credenti, e per ciascuno a modo suo, sono un modo per vivere la passione di Gesù, stando in comunione con Lui. Il Getsemani, il dolore che lacera il corpo, la solitudine della croce, l’impossibilità di condividere e comunicare con gli altri, l’incomprensione, il ‘sentirti fuori’, come scartato ed emarginato da una comunità che ringrazia, canta e loda, perché in quel momento tu non puoi farlo”.

La testimonianza di una lotta contro il Coronavirus: pazientare è non precipitare, non demordere

“Certo – prosegue – la croce di Gesù è anche altro, perché è la morte del Figlio di Dio offerta per amore di coloro che lo rifiutano, ma è proprio nell’umanità del Figlio che ciascuno di noi ritrova la propria morte. C’è poi il sabato santo. È il tempo dell’attesa, per noi credenti. C’è un sabato santo anche nel Covid-19. È l’attesa di una guarigione, che desideri con tutto te stesso e che puoi perfino favorire, ma che, radicalmente, non dipende da te. Puoi solo attenderla, sperarla, senza sapere a priori che ci sarà un lieto fine. Il sabato santo, nella liturgia, è per eccellenza un tempo di attesa e dunque di pazienza. Non c’è nulla di più importante, per un paziente, che la virtù della pazienza. Come dice la lettera agli Ebrei (5,8), in un bellissimo passo che è riferito a Gesù, il Figlio, e dice la verità di ogni figlio dell’uomo, la pazienza è lasciarsi istruire da ciò che si patisce. Lasciarsi istruire è sapere attendere, apprendere di apprendere da quanto ti accade e tu non comprendi e non accetti. Lasciarsi istruire, cioè pazientare, è non precipitare, non demordere, non scoraggiarsi, resistere, darsi tempo e dare tempo. Nell’attesa, tu dai tempo all’altro, di cui ti fidi, e sai di essere nelle mani dell’Altro, in cui hai riposto ogni confidenza, anche nel tempo della notte, il tempo della prova per eccellenza. C’è, in fine, il giorno della Pasqua. È la scoperta che quel sepolcro vuoto non dice un’assenza, ma rivela una forma di presenza, nuova, sorprendente e indeducibile. ‘Pace a voi’, dice Gesù, guardando dritto negli occhi i suoi discepoli, ancora tutti spaventati, intimoriti, confusi e incerti”.

La testimonianza di una lotta contro il Coronavirus: senti il corpo che si risveglia e si ridesta a nuova vita

“Pasqua – aggiunge don Maurizio Chiodi – è il grido che squarcia il silenzio, è la lama di luce che taglia la notte, è il risveglio che supera il sonno, è la rinascita che va oltre la morte. La resurrezione è il canto di gioia dopo il lamento funebre, è la vita che esplode, è il corpo che rinasce, trasformato, pur conservando i segni antichi, anche della passione e della morte. Quando, nel Covid-19, inizia il lento processo della guarigione, tu lo senti che il corpo si risveglia e si ridesta a nuova vita, ancor prima che le analisi te lo certifichino, ma hai quasi paura a dirlo. Potrebbe essere una illusione o un falso allarme. Devi attendere. È il tuo corpo che guarisce, ma la tua guarigione è un dono. Altri hanno lottato con e per te. Per questo la guarigione è un’esperienza di grazia. Niente sarà più come prima. Potrai tornare a gustare le cose che un tempo vivevi come scontate e dovute. Tu che guarisci, sai bene, tuttavia, che la guarigione, che pure nel Vangelo è uno dei segni della salvezza, non coincide con essa. Per quanto tu sia guarito, sai che ancora ti aspetterà la morte, anche se non sai né quando né come. Sappiamo bene, infine, che non tutti guariscono: c’è una speranza anche per loro? Proprio qui il credente è chiamato a riconoscere che, al di à della guarigione, egli attende altro. La resurrezione di Gesù è più di un semplice risveglio. Non è un ritorno alla condizione di prima. È il compimento di una promessa, è l’anticipo che ci dona di partecipare alla vita di colui che è la nostra primizia. Nella fede, camminando lungo il tempo difficile della storia, il credente attende il soffio di una vita piena, che è Dono, attende una pienezza che compie ogni suo desiderio, attende una comunione e una fraternità che riconfigureranno tutti i legami perduti, in un nuovo cielo e una nuova terra. In questa fede, il cristiano attende la Gerusalemme celeste, sperando il compimento che non avrà fine, quando sarà la fine”.