Mar Egeo. Quel papà privato del diritto di piangere: “Costretto a gettare in mare il corpo di mio figlio”

naufragioNell’eterna tragedia dei migranti, anche il corpicino di un bambino di 6 anni può diventare una zavorra. È successo nella notte tra mercoledì 4 e giovedì 5 novembre a nord dell’isola greca di Kos, quando un canotto partito dalla Turchia con il solito carico di disperati è naufragato quasi subito. Tra le vittime, anche due bambini, figli di un uomo che tentava di portare la sua famiglia lontano dalle guerre e dalle persecuzioni del Medio Oriente. E che invece si è trovato a dover gettare in acqua il cadavere del suo bambino. “Ho dovuto io stesso gettare in mare il corpo di mio figlio quando ho visto che era morto – ha raccontato alla Guardia costiera ellenica subito dopo aver toccato terra, insieme ad altri 13 superstiti del naufragio -. Dovevo pensare agli altri. Un gesto obbligato quindi, perché, per salvare quel che rimaneva della sua famiglia, questo padre, che aveva visto morire uno dopo l’altro due dei suoi figli, ha dovuto fare i conti con questa assurda realtà: per i morti non c’era più spazio. Un po’ meglio è andata alla sorellina, che almeno avrà sepoltura.

“Sono tragedie che succedono tutti i giorni – ammette quasi con rassegnazione il ministro greco dell’Immigrazione, Yannis Mouzales -. In Europa dicono che noi greci siamo le porte per migranti e profughi, ci vogliono far sentire in colpa, ma non è vero, le porte sono Turchia e Libia”. Un rimpallo di responsabilità che di certo non riduce il numero di morti. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati hariferito infatti che dall’inizio del 2015 sono già 3.440 le vite di migranti che il Mediterraneo ha inghiottito e mai più restituito. Di questi 500 nel solo mar Egeo, di cui 90 nella prima settimana di novembre. E le previsioni inducono a non distogliere l’attenzione dal bisogno di accoglienza. “Tra novembre 2015 e febbraio 2016 – avverte ancora l’Unhcr -, circa 600mila, 5mila al giorno, viaggeranno dalla Turchia alla Grecia e poi su attraverso i Balcani. Le condizioni atmosferiche avverse rischiano di aggravare le loro sofferenze con ulteriori perdite.

Come dimostra il fatto che, nell’isola di Lesbo, il cimitero non ha più posti. Solo nell’ultimo mese sono state seppellite 80 vittime recuperate dal mare e le autorità hanno annunciato che in futuro potranno “solo custodire decine di corpi in un refrigeratore”.

Nel frattempo proseguono anche i salvataggi. L’ultimo che ha fatto registrare grossi numeri è quello avvenuto giovedì 5 novembre al largo della Libia, dove la Guardia costiera italiana ha soccorso 949 migranti che viaggiavano a bordo di 7 gommoni e un barcone. Persone che come tutti i migranti in fuga da guerra e miseria ha diritto a una giusta accoglienza. Come quella che Amici dei Bambini cerca ogni giorno di garantire attraverso il progetto Non lasciamoli soli della campagna Bambini in Alto Mare. Una giusta accoglienza che si può realizzare con l’affido familiare dei minori stranieri non accompagnati e delle mamme sole con figli, per cui già più di 2mila famiglie italiane hanno offerto la propria disponibilità. E con l’accoglienza di nuclei familiari in piccole comunità in cui possano essere accompagnate in un vero percorso di integrazione, come avviene alla “Tenda di Abramo”, il centro di prima accoglienza gestito da Ai.Bi. in provincia di Milano, sempre alla ricerca di volontari che vogliano offrire parte del proprio tempo.

 

Fonte: Avvenire