Mirabelli: adozione ai gay, “Una sentenza inventata, che stravolge le leggi italiane”

mirabelliUna sentenza inventata e che forza le leggi italiane”. E’ categorico Cesare Mirabelli, Presidente emerito Corte Costituzionale, che boccia, in un’intervista pubblicata da Avvenire domenica 31 agosto, senza mezzi termini la decisione del Tribunale di Roma con la quale una bimba di due anni è stata adottata dalla compagna della mamma

Tecnicamente la sentenza – continua – si presenta come il classico caso in cui il giudice costruisce una sua soluzione forzando la legge e stravolgendo l’impostazione del legislatore.

La lettura tecnica dell’articolo 44 della legge sulle adozioni, al quale la presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo, fa riferimento nella sentenza, “non può infatti – spiega Mirabelli – portare alle conclusioni cui arriva lei. L’interpretazione che qui si fa della norma è quantomeno ardita, elegantemente costruita, direi anche con arte, ma è pura invenzione, e il legislatore è inerme di fronte all’interprete che vuole forzare le reali intenzioni del Parlamento”.

In che cosa consiste la forzatura?
L’articolo 44 cui la sentenza si collega  è quello che disciplina le adozioni nei “casi particolari”, ovvero circoscrive quattro situazioni in cui si concede l’adozione anche se le prerogative necessarie non sussistono. Questo per garantire anche i minori meno fortunati.

Le quattro situazioni ‘limite’ sono: “se il bambino è orfano di madre e di padre (allora può essere adottato da parenti fino al sesto grado o da adulti con cui abbia avuto già un rapporto stabile e duraturo) – precisa il giurista –, se è già stato adottato e gli resta un solo genitore (può essere adottato dal coniuge del genitore adottivo), se è orfano di padre e di madre e portatore di handicap, infine – come quarta ipotesi – se vi sia la “constatata impossibilità di affidamento preadottivo“, ad esempio se sussiste uno svantaggio sociale per cui, come per l’handicap, è ben difficile che qualcuno chieda di adottare quel bambino”.

La sentenza di Roma si appella a questo ultimo caso, “stravolgendone il significato – assicura Mirabelli – , perché la bimba in questione non è né orfana né in stato di abbandono, ha già la sua mamma naturale che l’ha partorita, dunque non rientra tra gli svantaggi gravi che, proprio per questo, possono essere dati in adozione anche se mancano i requisiti”.

Ora il pubblico ministero può appellarsi e fare ricorso, quindi nulla è ancor detto. Il rischio altrimenti, se passasse questa linea, è che allora tutti i minori, in qualsiasi condizione, potrebbero essere adottati: “basterebbe dire che si è constatata – aggiunge – l’impossibilità di affidamento preadottivo“, magari proprio perché ha già mamma e papà. Si afferma che lo si fa “per l’interesse del fanciullo– precisa -, come si è detto nel caso della bambina romana, e tutto diventa lecito.

Assistiamo progressivamente a un’assoluta privatizzazione di tutti i rapporti di famiglia– conclude il giurista -, all’indebolimento di un interesse pubblico, lo Stato sempre più dice “fate come vi pare”, ma così paradossalmente vengono meno le garanzie alle parti più deboli. E poi c’è l’ansia di legiferare da parte di chi è preposto ad altro”.