Non si può buttar tutto sul ‘dono dell’accoglienza’: i figli adottivi sono persone anche prima dell’adozione

Salve,

non capisco quelli che confondono il dono dell’accoglienza con il diritto alla propria identità. Siamo ragazzi adottati, è vero, ma non siamo nati in seguito all’adozione. Eravamo già persone prima di allora. Dire agli adottati che dovrebbero pensare agli altri bambini che non hanno genitori non ha senso. Non è con il ricatto morale, nel quale si vuol far passare i figli adottati come ingrati, che si fa il loro bene. Ogni individuo ha il diritto a sapere chi è. I genitori di ragazzi adottati dovrebbero sempre tener presente che quei bambini sono i loro figli, ma prima lo erano di qualcun’altro ed è normale, sacrosanto, civile e giusto non negare loro le proprie origini, anche quelle che si avrebbe tutto il vantaggio di tener nascosto per insicurezze personali o per paura. Io non sono nata Daniela, lo sono diventata e per quanto ne possa essere felice, so di essere anche altro prima di essere quello che sono oggi. Buttare tutto il discorso sul “dono dell’accoglienza” vuol dire non prendere coscienza reale e concreta dell’insieme. Si può dire quel che si vuole, ma essere genitori implica assumersi la responsabilità di un figlio che, nel caso di un’adozione, non nasce in seguito all’adozione.

Daniela

 

TRASFORINICarissima Daniela,

grazie per il Suo contributo che tocca quello che è il tema più specifico dell’adozione, ovvero il diritto alle origini. Credo possa essere pacifico che tramite la potenza dell’amore il sentirsi figli e il sentirsi genitori non sia affatto limitato dall’essere uniti “geneticamente”, ciascuna filiazione fa storia a sé; inoltre il nostro modo di essere figli o genitori è influenzato da tantissime caratteristiche e fattori.

La conoscenza delle origini è un tema giuridico, psicologico e culturale. A seconda della nazione di riferimento si osservano situazioni di adozioni aperte oppure di massimo segreto o di totale irreperibilità di notizie in merito alla nascita di un individuo. L’aspetto culturale è divenuto molto più evidente da quando internet e i social network hanno aperto un mondo di facilità per reperire informazioni e contattare le persone. Chi è stato adottato o chi ha messo al mondo un figlio di cui non ha potuto occuparsi si pone grazie alla tecnologia in un’ottica di possibile “incontro”, tutto ciò va ovviamente a poggiarsi sulle condizioni emotive, la solidità affettiva, i vissuti, le esperienze, la personalità stessa dell’adottato.

Non è di sicuro possibile esprimere un unico criterio in merito, indubbiamente affrontare le proprie origini, se non note dalla nascita come nelle adozioni aperte, implica una solidità di base, una capacità di integrazione poiché certe situazioni rese note senza una buona struttura psichica sottostante potrebbero scompensare e non completare. Essenziale l’appoggio della famiglia e la capacità di comprendere a quale bisogno risponde la necessità di avere informazioni. Un senso di smarrimento o di non appartenenza costituisce un’esperienza comune all’essere umano in crescita o in momenti di vita particolari e pertanto la complessità di questa esperienza non può di certo essere ignorata.

Cordiali saluti,

Lisa Trasforini

Equipe Psicologica di Ai.Bi.