Palmira: quando le pietre contano più degli esseri umani

palmira siria okChe ogni tanto si puntino i riflettori sulla Siria è cosa buona, considerata la scarsa attenzione rivolta dai media a una crisi che ha causato oltre 220.000 morti e 10.8 milioni di sfollati; che se ne parli per ragioni che poco o nulla hanno a che fare con l’emergenza umanitaria, è cosa meno buona.

È accaduto in precedenza per le odiose decapitazioni dei prigionieri occidentali perpetrate dall’ISIS e il lungo assedio di Kobane; accade, più in generale, ogni volta che il famigerato gruppo jihadista supera se stesso per livello di atrocità commesse.

Fino alla presa di Palmira. In questo caso, al centro dell’interesse mondiale sono finite le rovine di un sito archeologico.

Certo, fa male pensare che la furia devastatrice e iconoclasta dei miliziani del sedicente “Califfato” possa presto abbattersi su un tale, inestimabile patrimonio culturale; ancora di più pesa l’impotenza, il fatto che nessuno possa fare nulla per fermarli. Ma un curioso strabismo ci impedisce di vedere che l’unico, vero inestimabile patrimonio umano a rischio è rappresentato dal popolo siriano. Uomini, donne, bambini, anziani, intere famiglie innocenti vengono spazzate via ogni giorno in modo barbaro e feroce, nell’indifferenza generale: eppure nessuno si è mai scandalizzato come avviene ora per la (possibile) distruzione di Palmira.

Ancora più grave è non accorgersi di quello che accade sistematicamente in casi come questo: i responsabili di tali violenze, dall’una e dall’altra parte, approfittano di queste “distrazioni globali” per continuare a compiere i propri crimini indisturbati. E se possibile intensificarli, con la nostra involontaria complicità.

Qualcuno, negli ultimi giorni, ha attribuito al grido di disperazione lanciato dagli abitanti di Palmira, “è la fine!”, un significato quasi apocalittico, lasciando intendere che la caduta della città e la possibile distruzione delle rovine coincidano con la fine di un’epoca.  Per altri si tratta addirittura di “una disfatta dell’Occidente”: come se l’impossibilità di salvare dei monumenti dalla distruzione – invece che un intero paese da una guerra ingiusta –, fosse l’unico metro per misurare il nostro grado di civiltà.

È davvero questo il ragionamento da fare? Una volta che il sito archeologico di Palmira dovesse essere raso al suolo, cosa faremo? Abbandoneremo (nuovamente) i siriani al loro destino? Se siamo incapaci di salvare quattro colonne antiche – si dirà – figurarsi milioni di vite umane.

Proprio ieri sera parlavo con un ragazzo siriano che, fra le altre cose, anni fa ha lavorato come guida turistica a Palmira: quando gli ho chiesto cosa pensasse di tutto questo clamore internazionale, mi ha risposto: «Le vere rovine della Siria siamo noi, il popolo siriano.» È dunque possibile provare più compassione per le pietre, che per gli esseri umani?

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.