Perché la Cai deve passare al ministero degli Esteri: serve un addetto all’adozione internazionale presso ogni ambasciata. Le buone prassi Usa in Congo

africa

L’imminente nomina dei nuovi vertici della Commissione Adozioni Internazionali e l’intenzione del Parlamento di mettersi al lavoro per riformare l’attuale legge sulle adozioni aprono inevitabilmente la strada a un netto cambio di rotta nella realtà italiana dell’accoglienza adottiva. Una realtà da troppo tempo in sofferenza che ha visto, negli ultimi anni, un crollo del 50% del numero dei minori stranieri accolti da famiglie italiane e un’Autorità Centrale, per legge preposta al controllo delle procedure adottive, completamente paralizzata e inefficiente.

In particolare il rinnovo dei ruoli di presidente, vicepresidente e direttore generale della segreteria tecnica della Cai deve essere deciso nell’ottica di dare il via, finalmente, a una ripresa delle adozioni internazionali in Italia. Una ripresa che può iniziare da un’importante, quanto indispensabile, svolta a livello istituzionale: il collocamento della Commissione presso il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Una proposta, quest’ultima, già più volte sostenuta nel corso degli anni e ripresentata di recente dal senatore di Area Popolare Aldo Di Biagio in una sua interpellanza al presidente del Consiglio dei Ministri e al ministro per i Rapporti con il Parlamento. In essa, Di Biagio chiedeva al governo una fattiva e immediata riattivazione della Cai e la valutazione della proposta di collocare la Cai presso il Maeci “al fine di garantire un coordinamento delle attività svolte dagli enti autorizzati all’estero e la sussidiarietà delle adozioni di minori nei Paesi in cui l’Italia adotta”.

L’inserimento delle competenze relative all’adozione internazionale tra i compiti di chi si occupa di politica estera, infatti, faciliterebbe di certo le relazioni con tutti i Paesi di origine dei minori adottati, a cominciare dallo scambio di visite tra le rispettive delegazioni. Il primo e fondamentale provvedimento da realizzare, nel quadro di questo spostamento della Cai presso il Maeci, sarebbe l’istituzione di una figura istituzionale ad hoc: quella del funzionario addetto alle adozioni internazionali nelle nostre ambasciate presenti in ciascun  Paese in cui le famiglie italiane possono adottare.

Un ministero degli Esteri competente in materia di adozioni internazionali svolgerebbe numerose funzioni – dal controllo e monitoraggio delle procedure adottive alle verifiche sull’operato degli enti fino alla gestione delle relazioni istituzionali con i Paesi di origine -, a cui si aggiungerebbe, rispetto a quelle attuali della Cai, un compito fondamentale. Quello di stabilire se l’Italia debba adottare o no bambini provenienti dai Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L’Aja. Una decisione in merito è quanto mai urgente, visto soprattutto il dibattito scatenatosi a seguito della vicenda delle adozioni dei minori della Repubblica Democratica del Congo, Paese che non ha ratificato la Convenzione. È evidente come il futuro dell’adozione internazionale sia rivolto principalmente all’Africa. La maggior parte dei Paesi africani non ha ratificato la Convenzione de L’Aja e questo impone, da parte dei Paesi di accoglienza, attente e ponderate scelte in materia.

La presenza di un funzionario addetto alle adozioni internazionali nelle diverse ambasciate risolverebbe anche un secondo problema: sarebbe questa figura, infatti, ad affiancare le autorità locali nel dare le garanzie sull’adottabilità dei minori la cui situazione è particolarmente complessa. Un compito che non può essere svolto dagli enti autorizzati: non a caso, infatti, la stessa Convenzione de L’Aja, nelle sue linee guida, ne fa esplicito divieto, anche al fine di prevenire eventuali casi di traffico di minori.

Nella prospettiva di spostare la Cai presso il ministero degli Esteri e di istituire una figura addetta alle adozioni internazionali in ogni ambasciata, il Parlamento potrebbe prendere a esempio il modello americano. L’Autorità Centrale degli Stati Uniti rientra infatti nel Dipartimento di Stato, il ministero degli Esteri di Washington. Il quale, proprio nella Repubblica Democratica del Congo, ha istituito una procedura da seguire per approfondire alcuni aspetti circa l’adottabilità dei minori. Procedura estesa dagli Usa in tutti i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L’Aja. Questa prevede che gli addetti consolari, in comunicazione con i Servizi per la Cittadinanza e l’Immigrazione degli Stati Uniti (Uscis), attestino, attraverso una apposita modulistica, la reale situazione del minore prima di concedere a quest’ultimo il visto d’ingresso negli Usa. Oltre a riportare le generalità del bambino, gli addetti statunitensi nei Paesi “non-Aja”  sono chiamati a fornire una serie di altre informazioni sul minore, per esempio sulla situazione dei suoi genitori o sui sospetti di frode o traffico che vedrebbero al centro il bambino in questione. Solo al termine di queste procedure, il funzionario Usa in loco può confermare la classificazione del minore come orfano o restituire la richiesta all’Uscis per eventuale revoca e quindi blocco della procedura adottiva per il minore.